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Articolo estratto dal volume IV del 1966 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

È la sorte, un po’, di tutti i convegni. Ed anche il loro scopo. Ci se ne ritorna più documentati per quel che è stato fatto; più rammaricati per quel che si poteva attuare, e non si è attuato; più desiderosi di stringere i tempi. Con quest’animo, appunto, torno alla II Settimana cinematografica dei cattolici, svolta nella «Cittadella Cristiana» di Assisi, dal 26 settembre al 2 ottobre 1966, con l’alto patrocinio della Commissione Episcopale della C.E.I. per le comunicazioni sociali.

Ovviamente, mi accompagna il ricordo della Settimana che, l’anno scorso, ne aprì la serie: Assisi, 10-17 ottobre 1965. E, nel confronto, godo. Quella, si poteva considerare di rottura, e quasi sperimentale; questa, già di rodaggio. Quella, alquanto scarsa di partecipanti; questa, piuttosto numerosa, anche se un po’ folta di clergymen, e non troppo di laici, che altrove passano per nostri. Questa, infine, di maggiore risonanza pubblicistica (stampa e radio-tv), e di molto superiore impegno organizzativo – cui va dato riconoscente atto al Comitato di lavoro della Consulta Nazionale dello Spettacolo –, data anche la complessità del programma, articolato, grosso modo, in due tempi: il primo, di tre giorni, consacrato alle relazioni-discussioni sul tema generale della Settimana Il cinema per l’uomo; il secondo, di due giorni, consacrati a tavole rotonde-dialogo. Tra le due parti: una giornata consacrata a Cinema e gioventù. Durante tutta la settimana, poi: proiezioni, al ritmo di due al giorno, dei film candidati al Gran Premio O.C.I.C. 1966, attribuito, domenica 2 ottobre, mi pare molto a proposito, al discusso film di R. Bresson: Au hasard, Balthasar!

Sistemando i miei appunti, comincio proprio da questo aspetto spettacolare-competitivo della Settimana.

Il Gran Premio O.C.I.C. 1966

Come si sa, l’Ufficio Cattolico Internazionale del Cinema (O.C.I.C.), giustamente sollecito nel far passare i cattolici da una melanconica politica di denuncia del film dannoso ad una più redditizia politica di appoggio al cinema buono, dal 1947, nei festival internazionali assegna dei premi «ai film che, per la loro ispirazione e le loro qualità, più contribuiscano al progresso spirituale ed allo sviluppo dei valori umani»; e dal 1955 assegna anche il «Grand Prix» dell’anno (dal 1961 ciò avviene nella «Cittadella» di Assisi), in una rosa di candidati costituita di film premiati, appunto, nei festival, e da altri, segnalati dagli Uffici cinematografici cattolici nazionali.

Questo meccanismo ha portato quest’anno sullo schermo della Cittadella dieci film. Sette designati dai festival, e sono: i francesi Un homme et une femme (Un uomo e una donna), di Cl. Lelouch (Cannes ’66) e Au hasard, Balthasar! (Alla ventura, Baldassarre!), di R. Bresson (Venezia ’66); il giapponese Akaige (Barbarossa), di A. Kurosawa (Venezia ’65); gli inglesi: Georgy Girl (La ragazza Giorgia), di S. Narizzano (Berlino ’66) e I Was Happy Here (Ero felice), di D. Davis (San Sebastian ’66); il tedesco Abschied von Gestern (La ragazza senza storia), di A. Kluge (Venezia ’66) e l’americano-USA The Stender Thread (La vita corre sul filo), di S. Pollack (Mar del Plata ’66). Ed i tre segnalati dagli Uffici nazionali sono: i cecoslovacchi At Zije Republika (Viva la repubblica), di K. Kakyna; ed Obchod na Korze (Il negozio sul corso), di J. Kadar-E. Klos; e l’americano-USA A Patch of Blue (Incontro al Centrai Park), di G. Green.

Sul livello formale generale, piuttosto buono, hanno spiccato, mi pare, oltre al premiato, ma freddino, film di Bresson, l’eccellente, anche se compiaciuto, film di Lelouch, e soprattutto quello sanamente sconvolgente di Kluge. Circa i valori umani-morali, invece, mi pare che vada fatto un discorso inverso: segnalando, sì, il livello generale, ancora piuttosto buono, ma anche la presenza di grossi disvalori: o in pesanti suggestioni visive e di situazione, o in confusioni tematiche (un po’ anche nel film di Lelouch, molto in quello di Davis, troppo in quello di Narizzano). Il che mi fa chiedere: primo, se, anche in un mondo dove, ormai, in mancanza di opere totalmente buone, bisognerebbe accontentarsi di quelle che, almeno, salvano qualcosa di buono, la presenza di elementi tanto aberranti dall’ordine morale per­metta di giudicarle ancora «contributi al progresso spirituale ed allo sviluppo dei valori umani»; secondo: se, data l’evidente disparità di reazioni e giudizi tra paese e paese, cultura e cultura, situazione religioso-morale e situazione religioso-morale, non occorra rivedere il meccanismo della candidatura dei film al «Gran Premio», nonché della sua attribuzione, sì da favorire un cinema veramente, e per tutti, ideale, e non la già grave confusione di idee e di giudizi entro e fuori il campo cattolico; terzo: se, in ogni caso, giovi alla causa del buon cinema ed agli interessi culturali-morali degli Assisiati la proiezione pubblica di siffatti film-candidati, avallata da ben tre sigle come la «Cittadella», la «Settimana» e l’O.C.I.C.: per giunta, senza che le proiezioni siano precedute, o seguite, da un minimo di introduzione o commento orientativi. Sono domande che, in Assisi, ho sentito pormi da molti altri e che, certamente, saranno lodevolmente risolte. 

Le quattro relazioni

Piatto forte della Settimana sono state le quattro relazioni: Analisi del fenomeno cinematografico nella società di oggi (proposta, con ricchezza di dati e con sufficiente analisi operativa, dal prof. Emico Fulchignoni, direttore della Film Section dell’UNESCO); Come il cinema rappresenta l’uomo (svolta con esemplare fulgore di forma, serietà d’impegno e modestia di sé, dallo scrittore Mario Pomilio); Come noi vediamo il cinema (ampia ed illuminante disanima filosofico-cristiana del prof. Fiorenzo Viscidi, docente nell’Università di Padova); I film non vietati ai minori di 14 anni: modelli umani e problemi educativi (panorama completo, descritto con rigorosa documentazione e penetrante analisi, dal critico e saggista Alberto Pesce).

Nell’impossibiJità di addentrarmi nei contenuti, anche qui mi limito alle impressioni: due, ed ottime. La prima, – marginale forse, ma di grande gioia –, per aver sentito, tanto in sede di relazione quanto in sede di discussione, esplicite espressioni di personale adesione, ed anche di approdo, o almeno di rispettosa deferenza, da parte di più di uno che conoscevamo già non consenziente compagno di strada nella fede cristiana e nella fiducia nella Chiesa. La seconda, di incoraggiante sodisfazione, nel rilevare la preparazione dottrinale e l’ampiezza di visione in molti di casa nostra nel settore del cinema. Dopo aver molto sentito, e moltissimo letto, di quanto si propone, si disquisisce e si teorizza altrove, anche da nomi che vanno per la maggiore, vien fatto di rilevare che, almeno nel settore della cultura cinematografica, non rimane alcuna ragione di «complesso» da parte cattolica, tanto ricca vi è ormai l’informazione, lucido ed acuto l’occhio critico, aperto il campo degli interessi e, soprattutto, buono e profondo l’humus filosofico, nel quale – a differenza di altre più volenterose e già aggressive correnti –, saldamente si radica.

Tanta sodisfazione è temperata soltanto dal rammarico che al buon livello di maturità culturale non corrispondano ancora adeguati i naturali mezzi di espressione editoriale e periodica, indispensabili per «fare opinione»; e che ancora troppo sensibile sia il divario tra cultura ed azione pratica nel mondo del cinema cattolico italiano; tra gli uomini, di cui invidiabilmente si dispone, e le realizzazioni visibili e tangibili, tanto sul piano del prodotto-film quanto su quello della critica. Difetto d’intesa? Di programmazione? Di mezzi? Di idee operative? La risposta, speriamo, alle future (ma non tanto!) «Settimane», se esse vorranno essere, come autorevolmente è stato affermato, «un primo strumento per l’attuazione del decreto conciliare Inter mirifica nel settore del cinema italiano»; decreto che, infatti, sollecita, sì, prima di tutto, alla preparazione «totale» degli uomini, ma perché passino all’azione più tempestiva.

Le due tavole rotonde

Confesso: mi sono recato ad Assisi incerto e perplesso intorno ai risultati che si potevano attendere dalle Tavole Rotonde, soprattutto per le provenienze operative e le qualifiche ideologiche di troppi nomi iscritti tra gli interlocutori; temevo, infatti, che vi si ripetesse quel che si era verificato altrove in Italia, che, cioè, per il forte squilibrio tra non cattolici e cattolici, l’incontro finisse col mutare l’iniziativa da «nostra» in «loro». Ma ne torno, e ne godo, ricreduto. Il peggio, infatti, non si è verificato; sia perché molti di quegli interlocutori non si sono presentati all’appuntamento, e sia perché da parte di quanti si sono seduti al tavolo (non tanto, poi) rotondo, pur nella più leale esposizione delle proprie idee, anche opposte, non si sono mai passati i limiti di un dialogo civile; anzi, spesso e volentieri, si è indugiato in quelli di un’amichevole comprensione.

La prima tavola rotonda, su Prospettive e limiti di una presenza cattolica, ha avuto proponente il prof. Renato May, segretario del comitato permanente delle «Settimane», ed interlocutori: Franco Bruno, segretario dell’AGIS; il critico e saggista Ernesto G. Laura; i registi Alfredo Bini, Vittorio Cottafavi e G. Zagni; nonché Mario Gallo, della SINO. Il secondo, su Il cinema come occasione di dialogo, ha avuto proponente il critico Giovanni B. Cavaillaro, ed interlocutori: i critici e saggisti: Pio Baldelli, Fernando Di Giammatteo, Emesto G. Laura, Nazareno Taddei S.I.; lo scrittore Giancarlo Vigorelli, il regista Carlo Lizzani e – ospite a metà seduta – il ministro allo Spettacolo ed al Turismo, on. Corona. Ottimo moderatore l’ing. Ugo Sciascia, impagabile, anche se, forse, un po’ amichevolmente invadente, presidente di tutta la Settimana.

Chi, come me, è un po’ scettico sulle possibilità del cinema come «dialogo» propriamente detto – date le sue caratteristiche: di comunicazione unidirezionale, più emozionale che «logica», diretta ad incertum receptorem – non ha dovuto intervenire; giacché, come prevedibile, la Tavola si è orientata quasi subito, e quasi poi non ne è uscita, sulle condizioni, contenuti e scopi del dialogo tout court, poco curandosi di collegare quanto si andava esponendo con la casistica particolare del cinema. Tuttavia, entro questi limiti, tutto sommato, l’incontro mi pare sia stato utile: almeno per chiarire, senza equivoci, le rispettive posizioni e, quando queste parevano, come alcune erano, almeno sotto alcuni aspetti, irriducibili ad un terreno comune d’incontro, è stato utile a smussare certi contrasti attraverso le vicendevole stima umano-personale.

Certo, però, questa, del dialogo più leale, resta una meta tanto auspicabile quanto difficile, nel cinema come altrove. Occorre, tra l’altro, che da parte di alcuni, forse inconsapevolmente restii, si prenda atto di una società non più omogenea, ma pluralistica, nella quale, perciò, devono pur adattarsi i modi di convivenza civile. Occorrerà anche muoversi prudentemente tra i due estremi, ugualmente erronei e pericolosi: da una parte, di un agnosticismo di fondo che butti tutto, anche le credenze e le certezze più salde, nella nebbia di opinioni soggettive; dall’altra, di un dialogo più o meno copertamente strumentalizzato per conquiste a posizioni dommatiche. A questo scopo, forse, sarà spesso preferibile provocare il dialogo non tra «etichette», soprattutto politiche, né tra uomini portatori delle stesse: ma, prima di tutto e soprattutto, tira «uomini»; prima, dunque, che commissionato ed istituzionalizzato, un dialogo spontaneo e personale; e, forse, in sedi meno qualificate.

Occorrerà anche precisare di quale cinema si tratti; se, cioè, del grosso e comune spettacolo, che tutto cerca meno che dialogare, oppure del cinema d’autore, o sperimentale, nel quale, ad un minor condizionamento economico e ad una sincera volontà di dialogare, corrisponde, ahimè, una troppo ristretta cerchia di Recettori disposti al dialogo. Infine, condizione di dialogo utile sarà il possesso comune e tranquillo di alcune nozioni base sull’argomento de quo, senza le quali occorrerebbe far precedere al dialogo alcune battute come vero e proprio insegnamento.

La Lettera della Segreteria di Stato

«Il cinema per l’uomo»: questo il grande tema della II Settimana di Assisi, al quale si sono ispirate le Relazioni, e che poteva, forse, affiorare più costantemente e determinatamente nelle Tavole Rotonde. Ad esso s’intona magistralmente la Lettera inviata alla stessa Settimana dalla Segreteria di Stato, che qui riportiamo nella parte dottrinale.

«Nel campo specifico del cinema rimangono validissime le considerazioni dottrinali e le sapienti norme pratiche delineate da Pio XII, di v. m., nei due memorabili Discorsi sul film ideale. In essi, il grande Pontefice indicava come primo e fondamentale carattere di tale film “il rispetto verso l’uomo; non vi è infatti alcun motivo che lo sottragga alla norma generale, secondo la quale chi tratta con gli uomini deve essere compreso di rispetto per l’uomo” (A.A.S., XLVII [1955], 507). Tale aspetto, prevalente su tutti gli altri, è stato messo in particolare evidenza nel Decreto conciliare Inter mirifica, che ha inteso rilevare la natura strumentale del cinema – come della stampa, della radio e della televisione – in funzione di comunicazione umana, con risonanze non solo individuali, ma anche e soprattutto sociali.
«Il rispetto per l’uomo esclude, evidentemente, lo sfruttamento del cinema a scopi meno nobili, ai quali lo strumento, se non sia controllato dalla coscienza di chi ne faccia uso, si presta facilmente. Settant’anni di storia del cinema stanno purtroppo a confermare che sovente sono stati i soli interessi economici a determinare, non soltanto le innovazioni tecniche, bensì anche contenuti e forme espressive, metodi di lancio di film e di attori, a scapito, non solo dei valori religioso-morali, ma anche di quelli di una cultura e di una civiltà degne dell’uomo. Né mancano, oggi, casi di abuso dello strumento in funzione di pressione ideologico-politica; oppure anche di mezzo di espressione, di cui, singoli e gruppi, possano disporre nella più assoluta libertà, senza cioè tener conto alcuno delle ripercussioni, anche dannose, connesse alle caratteristiche comunicative dello strumento ed alle condizioni concrete di preparazione culturale e morale, nelle quali il pubblico vi accede. È a questo proposito, sommamente da deplorarsi che film, con pretesa d’alto significato artistico, ma con intenzionale e perfida esibizione di corrotte e corruttrici passioni, abbiano ora tanta ed immeritata accoglienza nel mondo della cultura cinematografica, con disonore dell’arte e con profanazione dei più sacri valori umani. Perciò il Santo Padre si augura che quanti, o per vigoria d’ingegno, o per mezzi economici, o per apporto organizzativo, siano in grado di determinare la qualità di questo servizio all’uomo, maturino sempre più nella coscienza delle proprie responsabilità societarie, e si rendano sempre più consapevoli della potenza comunicativa dello strumento, mano mano che si rendono più padroni delle sue mirabili possibilità tecnico-spettacolari.
«Ma, come far corrispondere alle loro buone intenzioni un reale rispetto e servizio all’uomo, se non gli si riconosce la sua più vera ed essenziale dignità? Ora egli è, sì, cittadino del mondo e responsabile del divenire terreno, suo e della società di cui storicamente faccia parte; ed il cinema, come gli altri strumenti, è chiamato a concorrere al suo perfezionamento, procurandogli apporti culturali, che lo rendano, per dir così, più uomo, e con ciò più padrone del suo regno naturale; inoltre informandolo, affinché le sue scelte, e non solo civili e politiche, siano sempre più illuminate; ed anche offrendogli la necessaria distensione nel logorio fisico e morale della vita odierna, per la via dei sentimenti e della fantasia. Ma l’uomo è, insieme, figlio di Dio: chiamato ad attuare, in sé ed intorno a sé, vivendo il messaggio di amore ereditato dal suo Redentore, quel Regno di Dio che si perfezionerà nella vita futura, “dov’è la nostra cittadinanza definitiva” (Eb. 13,14). Sicché non rispetterà né servirà l’uomo quel cinema che tutto ciò sistematicamente ignorasse o, almeno di fatto, disconoscesse. Ipotesi, anche questa, troppo frequentemente verificata nella storia del cinema, non esclusa la più recente, per cui ancor oggi vale il rilievo mosso da Pio XII circa certo cinema, nel quale “gli uomini vivono e muoiono come se Dio non vi fosse, né la redenzione, né la Chiesa” (Pio XII, Discorsi e Radiomessaggi, vol. XI, p. 14).
«A questo proposito è stato detto che il cinema, come gli altri strumenti della comunicazione sociale, più che altro è specchio del tempo e della società, che con esso si esprime; e che, perciò: crisi, ed anche assenza e rifiuto di ogni valore temporale ed eterno, dell’uomo e della società, sugli schermi non sono che riflesso e documento di una situazione di fatto, propria della nostra epoca; descriverla differentemente, sarebbe disservire la verità e, con essa, l’uomo. Ma, se in ciò c’è molto di vero, è anche vero che sarebbe vano tentare di dissolvere ogni responsabilità morale di quanti – promotori e recettori – partecipano alla comunicazione filmica. Questi strumenti, infatti, documentano, sì, intorno agli schemi di pensiero, tendenze, attitudini e comportamenti umani, ma anche, e potentemente, vi influiscono; come ben sanno quanti vi ricorrono per raggiungere determinati scopi collettivi, economici o ideologici, contingenti ed anche duraturi. D’altra parte occorre anche riconoscere che l’uomo e la società odierna non si trovano nella totale condizione di avvilimento e di disperazione nella quale il cinema indugia. Ci sono ancora, grazie a Dio, credenti autentici, anime che tendono seriamente alla santità; cittadini onesti e uomini giusti, o che, almeno, cercano di esserlo; famiglie nelle quali, con l’amore fecondo, regna ancora il pudore ed il mutuo rispetto; professionisti, sacerdoti, operai, suore, casalinghe, che compiono silenziosamente il loro dovere quotidiano; poveri e malati capaci di soffrire con rassegnazione, quando non anche col sorriso; ragazzi e ragazze fiduciosi e ricchi di vita, che non si riconoscono affatto nei modelli di angosciati incomunicabili offerti da certo cinema, anche di alta qualità.
«Perciò il Santo Padre si compiace nel pensare che si servirebbe la verità e l’uomo portando sugli schermi pure questi personaggi reali del mondo odierno. Con i loro problemi, certamente; le loro ansie e le loro crisi, anche gravi e drammatiche: ma non chiusi a quella “letizia e speranza” che il Concilio Vaticano II ha individuato tra le prime esigenze del mondo odierno. Si augura, anzi, che tutti i cineasti di buona volontà, ma specialmente quanti tra essi sono illuminati dalla fede e dalla carità di Cristo, prestino con i film un aiuto amico allo spettatore-viatore verso il suo fine eterno».

Mi pare che queste chiare indicazioni dottrinali siano come la sintesi attuale del pensiero cattolico in argomento, e che possano prendersi come il binario ideale sul quale istradare gli sviluppi dot­trrinali ed operativi delle Settimane a venire.

 

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
vol. IV (1964), pp. 213-226
vol. III (1964), pp. 551-562
n. 2721, vol. IV (1963), pp. 234-247
n. 2691, vol. III (1962), pp. 232-245
n. 2576, vol. IV (1957), pp. 152-166
n. 2570, vol. III (1957), pp. 166-180
n. 2551, vol. IV (1956), pp. 49-62
n. 2528, vol. IV (1955), pp. 148-162
n. 2432, vol. IV (1951), pp. 141-151