NOTE
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1 Ed altrettante sono state le adesioni.

2 Sulle motivazioni psicologiche degli atteggiamenti di contestazione e di affermazioni ideali ha trattato lo psicologo milanese Franco Fornari; e su quelle sociologiche il professore bolognese Paolo Guidicini. A completamento, il prof. Luigi Bovo, della Pro Civitate, ha impostato il tema: Affermazione e contestazione nel Vangelo. – Durante il Convegno vennero proiettati i film Pane amaro, di G.M. Scotese, e Cronaca di Maria Maddalena Bach, di Straube.

3 Ciò si fa palese anche passando in rivista, come il Guidicini ha fatto in Assisi, le principali matrici sociali del processo contestativo, proposte da sociologi nostri contemporanei, quali il Parsons ed il Merton, o da sociologi passati, quali Marx, Durkheim e Tarde.

4 «I marxisti hanno già “contestato” e proclamato la fine dell’era delle ideologie e annunciato l’inizio dell’era del pensiero critico; sono passati alla fase della progettazione...; mentre i cattolici contestano eufemisticamente e devono fare ancora i conti con la loro ideologia alienante-alienata»: così, bontà sua, l’agit-prop Gianni Toti, su questa cortese premessa fondando le sue proposte «per un incontro d’azione cinematografica al di là delle parole, per i fatti, del dialogo».

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Articolo estratto dal volume II del 1968 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Del XIII Incontro Internazionale dei cineasti, svoltosi presso la Pro Civitate Christiana (Assisi, 27-28 aprile 1968), non può dirsi altro che bene. Alto e qualificato il numero dei partecipanti: un buon centinaio1, tra cineasti, critici, psicologi e sociologi, italiani e stranieri, di diverse correnti di pensiero; cordialissima, come sempre, l’ospitalità; cortese e ferma Ja presenza del moderatore Caruso; appropriato all’indole degli Incontri il tema Contestazione ed affermazione nel cinema di oggi; opportunissime le due comunicazioni introduttive2, chiamate ad equilibrare con l’oggettività scientifica gli eccessi soggettivo-polemici che tema e qualità dei convegnisti favorivano. Tuttavia ne siamo partiti col sospetto che l’odierna società avrà da attendere un bel pezzo, se, per diventare meno globalmente contestabile di quanto in Assisi la maggior parte dei cineasti l’hanno giudicata, dovrà contare soltanto o prevalentemente sui loro film di contestazione.

Il primo dubbio, fondamentale, poggia sulla natura stessa della espressione-comunicazione filmica e sulle modalità nelle quali ancor oggi il cinema si struttura ed opera. Il cinema, infatti, si presta più a partecipare stati d’animo (nella migliore delle ipotesi) fantasticopoetici o (più comunemente) emozionali, che ad individuare o comunicare con chiarezza logica – poniamo: quella della prosa letteraria – eventuali intollerabili situazioni oggettive. Di conseguenza, l’impatto sociologicamente sovversivo sembra dover essere maggiore nel «cattivo» cinema che nel «buono»; per esemplificare: maggiore nelle concioni di Cayatte o di Autarnt-Lara, minore o nullo nei film di Eisenstein, capolavori, sì, ma scarsamente «contestanti», e perciò sgraditi ai suoi committenti.

Inoltre, questa caratteristica mette in mano ai cineasti un prepotere tecnico, anche ma non solo di denuncia, del tutto sproporzionato alla loro normale preparazione culturale. Infatti, dal sentirsi padroni di una macchina capace di trattare di tutto, è facile il passo a credersi competenti in tutti i campi dello scibile e delle esperienze umane, anche più complesse, e perciò anche a denunciare con sicurezza e secondo schemi semplicistici: ignota quella e rifiutati questi dai veri competenti.

Non basta. Il cinema non comunica alla maniera del libro o della conferenza casalinga. Data la sua struttura industriale-economica, fondata sulle sue risorse tecniche, parte ed opera normalmente come spettacolo «di masse». Chi vi ricorre, se ne ha i mezzi, potrà anche rifiutare d’integrarsi nel suo meccanismo condizionante, di mercato, e non sempre pulito; ma più spesso si vedrà costretto ad integrarvisi. Nel primo caso potrà contestare quello che gli pare, quando e come gli piace: ma con quali risultati effettivi, se distribuzione ed esercizio gli rifiuteranno ogni pubblico? Nel secondo, la contestazione potrà, forse, arrivare alle «masse»; ma quanto svigorita nel suo genuino contenuto umano, deviato in richiami spettacolari eticamente spuri od in forme espressive convenzionali! Oppure la contestazione arriverà ambigua ed ipocrita, degradata essa stessa a prodotto di consumo, quando non anche a mezzo per incrementare, almeno indirettamente, le storture societarie che si denunciano, o a calcolato alibi di cineasti comodamente integrati in esse.

Vero è che in Assisi si è contestata anche questa situazione del cinema, culturalmente e socialmente aberrante. Benissimo! Ci auguriamo soltanto che da parte cattolica si insista su questa linea meno cautelosamente di quanto si è fatto finora; ma, poi, che la contestazione superi la sterile fase verbale e passi a quella dei fatti; vale a dire: a creare le premesse economico-organizzative che slentino – romperle sarà difficile! – le ferree maglie del sistema, sì da assicurare a chi abbia qualcosa da dire con la cinepresa la possibilità non solo di «esprimersi» – magra consolazione! – ma di «comunicare» di fatto.

* * *

Ridimensionate così le possibilità contestative dei cineasti – un po’ più di modestia tra noi non guasterebbe! –, resta da precisare il significato e da chiarire il valore della contestazione in genere, da chiunque provenga. La questione eccedeva gli intenti del Convegno; ma non vogliamo chiudere questa nota senza ricordare due rilievi, anch’essi fondamentali, in esso avanzati.

Il primo è circa il non senso di una contestazione che sia fine a se stessa. Negare per negare, oltre tutto, può servire a sfogare umori viscerali e furori anarcoidi: sintomi magari più dell’inadattabilità soggettiva del contestante che dell’oggettiva non validità del sistema; e può anche terminarsi nell’inutile scornare del toro contro la muleta. Ma, soprattutto, limitandosi a negare ed a distruggere, si finisce col proporre il vuoto ed il caos: l’uno e l’altro, a loro volta, contestabilissimi.

Ciò vale, proporzionalmente, anche ,quando si contestino singole storture da tutti conclamate tali. Va bene: no alle discriminazioni razziali, no allo sfruttamento economico, no alla fame ed all’ignoranza, no alla guerra, no alla tecnocrazia, no alla dittatura, no al «s’è fatto sempre così»... Ma in nome di che cosa? Se non di una visione di valori costruttivi – chiamiamoli, eticamente, «ideali», o, su piano sociologico, «modelli» – almeno soggettivamente riconosciuti per validi?3. Non c’è stata rivoluzione, a cominciare da quella francese, che non si sia fatta all’insegna di ideali costruttivi, magari poi rivelatisi fallaci.

Quali, allora – e questo è il secondo ed ultimo rilievo – gli «ideali» proposti in Assisi? – Grazie a Dio, nessuna concessione all’evasione erotico-sessuale, alla quale tanto cinema italiano si prostituisce. Rara e velata qualche proposta di anarchia etico-sociale. Rare pure – dato anche l’argomento – le proposte del «libero» artistico a contestazione del «logico» o dell’imposto lucrativo. Insistenti, invece, chiare ed irriducibili le due concezioni totali – marxista e cristiana – dell’uomo e della società, a confermare che qui è il punto cruciale della questione, il parametro obbligato per chiarire i concetti-chiave di ogni contestazione-ricostruzione del mondo – quali: libertà, giustizia, uguaglianza, pace, democrazia... –, prima ancora che per passare, come in Assisi si è auspicato, a convergenze operative, nel cinema come in altri campi.

A questo proposito, molto opportunamente da parte cattolica è stato contestato ai marxisti4 – ci si perdoni il bisticcio – il monopolio della contestazione, da essi, in quella sede, ancora una volta, vantato; ricordando loro che il cristianesimo è essenzialmente storia in atto della salvezza, dei singoli individui e di tutta la famiglia umana; perciò contestazione permanente di quanto avvilisca e neghi la dignità dell’uomo ed, insieme, sua restaurazione permanente nel piano creativo e redentivo trinitario: contestazione-restaurazione, per giunta, che ha il vantaggio di rivolgersi, prima che alle strutture, agli individui, provocandoli a quella «conversione» interiore che è l’unica garanzia della buona efficienza di quelle.

Pare che nella prossima mostra cinematografica di Venezia una tavola rotonda riproporrà il tema nella variante I giovani autori ed il cinema di contestazione. Speriamo che non vi si contesti ai cattolici la possibilità di esporvi e sostenervi questa loro certezza.

1 Ed altrettante sono state le adesioni.

2 Sulle motivazioni psicologiche degli atteggiamenti di contestazione e di affermazioni ideali ha trattato lo psicologo milanese Franco Fornari; e su quelle sociologiche il professore bolognese Paolo Guidicini. A completamento, il prof. Luigi Bovo, della Pro Civitate, ha impostato il tema: Affermazione e contestazione nel Vangelo. – Durante il Convegno vennero proiettati i film Pane amaro, di G.M. Scotese, e Cronaca di Maria Maddalena Bach, di Straube.

3 Ciò si fa palese anche passando in rivista, come il Guidicini ha fatto in Assisi, le principali matrici sociali del processo contestativo, proposte da sociologi nostri contemporanei, quali il Parsons ed il Merton, o da sociologi passati, quali Marx, Durkheim e Tarde.

4 «I marxisti hanno già “contestato” e proclamato la fine dell’era delle ideologie e annunciato l’inizio dell’era del pensiero critico; sono passati alla fase della progettazione...; mentre i cattolici contestano eufemisticamente e devono fare ancora i conti con la loro ideologia alienante-alienata»: così, bontà sua, l’agit-prop Gianni Toti, su questa cortese premessa fondando le sue proposte «per un incontro d’azione cinematografica al di là delle parole, per i fatti, del dialogo».

In argomento

Mostre

n. 2830, vol. II (1968), pp. 358-364
n. 2815, vol. IV (1967), pp. 55-58
n. 2793, vol. IV (1966), pp. 263-268
vol. IV (1964), pp. 213-226
vol. III (1964), pp. 551-562
n. 2721, vol. IV (1963), pp. 234-247
n. 2691, vol. III (1962), pp. 232-245
n. 2576, vol. IV (1957), pp. 152-166
n. 2570, vol. III (1957), pp. 166-180
n. 2551, vol. IV (1956), pp. 49-62
n. 2528, vol. IV (1955), pp. 148-162
n. 2432, vol. IV (1951), pp. 141-151