NOTE
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1 Cfr Variazioni sulla [cosiddetta] opinione pubblica, in Civ. Catt. 1973 I 144 ss.

2 Cfr Segreto e informazione nella Chiesa, in Civ. Catt. 1973 II 347-358.

3 Tra quelli di qualche rilievo si ricordano: 1. Dialogue à l’intérieur de l’Eglise: Symposium organisé por le Consell des Laïcs (numero speciale di Laïcs aujourd’hui, 1971, nn. 9-10). 2. Freiheit des Denkens im kirchlichen Raum (in Wort und Wahrheit, magg.-giu. 1969, n. 24, 195 ss.). 3. La opinión pública en la lglesia de hoy (in Mensaje, ag. 1965, 413 ss.). 4. Opinión pública en lo lglesia (in Sic, sett.-ott. 1969, 334 ss.). 5. Public opinion in the Church (in The Priest, febbr. 1969, n. 25, 66 ss.). 6. ARAUD, L’opinion publique dans l’Egllse, Réflexion théologique (in Chronique sociale de France, 30 giu. 1966, n. 74, 14 ss.). 7. M.D. CHENU, "Vox populi, vox Dei”: l’opinion publlque dans le peuple de Dieu (in IDOC, ott. 1967, 9 ss.; Il regno, 15 nov. 1967, 405 ss.; Questitalia, dic. 1967, 81 ss.). 8. E. CHIAVACCI, L’opinione pubblica nella Chiesa (in Rivista di teologia morale, 1970, n. 2, 19 ss.). 9. A. DEL PORTILLO, La opinión pública en lo lglesia (in Nuestro tiempo, mar. 1972, 32 ss.). 10. J. FOLLIET, Le jeu de l’opinion publique dans l’Eglise (in Chronique sociale de France, giu. 1966, 2 ss.). 11. E. GUERRERO, La opinión pública en la lglesia e La creación e mantenimiento de una sana opinión pública (in Razón y fe, lug. 1960, 45 ss.; 1961, XX ss.). 12. R. LA VALLE, Il giornalista e l’opinione pubblica nella Chiesa (in Laici sulle vie del Concilio, Assisi, Cittadella, 1966, 261 ss.). 13. E. card. LEGER, Le prêtre et l’opinion publique dans l’Eglise, (in La documentation catholique, 17 lug. 1966, 1313 ss.). 14. J.L. MARTIN DESCALZO, La opinión pública en la lglesia: extensión y limites (in Razón y fe, mag. 1972, 433 ss.). 15. J.L. McKENZIE, L’autorità nella Chiesa, Torino 1969 (cfr Civ. Catt. 1971 III 308). 16. I. PEREZ DE VISO, La libertad de opinión en la lglesia (in Estudios, 1964, n. 12, 757 ss.). 17. J. PIQUER, La opinión pública en la lglesia, Madrid 1965. 18. K. RAHNER, Libertà e manipolazione nella Chiesa e nella società; Bologna 1971 (cfr Civ. Catt. 1972 II 507). 19. J. REMY, Opinion publique, groupes dé pression et autorlté constituée dans lo vie de l’Eglise catholique (in Social Compass, 1972, n. 19, 155 s.). 20. J. ROCHE, Liberté du chrétien, autorité de l’Eglise, Paris 1971 (cfr Civ. Catt. 1972 IV 516).

4 Capofila ne fu la francese Déclaration des droits de l’homme et du citoyen, del 26 agosto 1789, ripresa dalla Costituzione del 1791, che al § 11 recitava: "La libre communication des pensées et des opinions est un des droits le plus précieux de l’homme; tout citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cetre liberté dans les cas déterminés ear la loi”. Recentemente hanno fatto seguito la Déclaration universelle des droits de l’homme, da parte dell’ONU (Parigi, 10 dic. 1948: artt. 18 e 19), e la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, del Conseil d’Europe (Roma, 4 nov. 1950: artt. 9 e 10). Su di esse, e sul Progetto di convenzione sulla libertà d’informazione presso l’ONU da parte dell’UNESCO, cfr Journalistes Catholiques 1964, nn. 16-17, 20 ss.; 1968, n. 38, 6 ss. – Per l’Italia, è noto l’art. 21 della Costituzione Repubblicana, del 1947, che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione [...]”.

5 Cosi la Dei verbum (n. 8): “Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr Lc 2,19 e 51), sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verità”.

6 Conferma la Lettera della Segreteria di Stato, del 25 giugno 1971, all’UCIP (n. 6): “L’ambito dell’opinione [...] nella Chiesa si estende tanto alla dottrina quanto alla prassi, vale a dire: a tutta la vita Certamente: il magistero dottrinale, il governo pastorale e il potere di santificare sono stati affidati da Cristo non a tutti i fedeli indistintamente; tuttavia tutti i battezzati e confermati, in virtù della loro rispettiva partecipazione al sacerdozio di Cristo, sono chiamati a collaborare attivamente alla crescita del Popolo di Dio nella verità e nell’amore. Tutti – quanti hanno ricevuto, con la successione episcopale, uno specifico carisma di verità, presbiteri e fedeli –, nella misura delle proprie possibilità e dei particolari carismi, devono poter partecipare all’elaborazione concettuale e alla formulazione del messaggio cristiano, nonché alla scoperta degli elementi atti ad illuminare le stesse situazioni storiche di questo mondo mutevole”.

7 Ancora la Lettera (n. 7): "[...] le stesse formulazioni dottrinali e te scelte pratiche della gerarchia sono maturate grazie anche al contributo dell’intero Popolo di Dio, il cui sensus fidei e la carità sono suscitati e alimentati dallo Spirito di Cristo”.

8 Continua la stessa Lettera (n. 17 e 9): "[...] c’è posto in seno al Popolo di Dio per una legittima pluralità di opinioni, pubbliche o no. Data la limitatezza della nostra natura, si potrebbe affermare che il pluralismo è un’esigenza della inesauribile ricchezza della verità; inoltre esso si fonda sul fatto che le questioni dottrinali sono spesso oscure e difficili e che è lecitamente possibile applicare diversamente, in concreto, certi principi”. "[...] la vita pratica della Chiesa dipende da dati di fatto che sfuggono al suo influsso, la valutazione dei quali richiede un’attenzione seria e costante. Pure qui l’opinione [...] può apportare un aiuto insostituibile, facendo luce su situazioni la cui conoscenza giunge alla gerarchia ecclesiastica per tramite dei laici impegnati nelle attività temporali”.

9 Dei verbum, 10.

10 J. ROCHE, op. cit, alla nota 3, n. 20, 48 ss.

11 A conferma, non mancano nella storia della Chiesa casi di errori – oltre quello classico di Galilei – spiegabili con le situazioni socio-culturali delle diverse epoche, poi riconosciuti e rettificati dal Magistero posteriore. Scrive J. IRIBARREN (Liberté de la presse dans le domaine religieux, in Civitas, 1970, n. 8, 608 ss.): “Oggi nessuno sostiene la tesi erronea della ’supremazia temporale’ della potestà pontificia sui re, pur accettata nel Medio Evo, e perentoriamente affermata nell’Unam sanctam di Bonifacio VIII. Dal pontificato di Innocenzo XII sino a quello di Benedetto XIV, vale a dire per quarantanove anni, si trascinò la controversia ’dei riti cinesi’, nella quale pesò l’intransigenza di sei papi (Innocenzo XII, Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Clemente XII, Benedetto XIV), nonché del sant’Uffizio. Troncata nel 1742, Pio XI, nel 1935, non soltanto corresse la decisione pratica di allora, ma anche la dottrina. L’insegnamento tradizionale su l’usura del pecunia non parit, perfettamente sostenibile per tutto il Medio Evo, avrebbe dovuto evolvere col secolo XV insieme con l’evolversi della natura della moneta e del commercio. Eppure, in pieno secolo XVIII, la vecchia concessione veniva ancora difesa severamente nell’enciclica Vix pervenir di Benedetto XIV, quando cioè da due secoli la sua applicazione contraddiceva chiaramente la situazione reale. Oggi, nella morale cattolica, la liceità del prestito ad interesse è del tutto pacifica. Noi, poi, abbiamo assistito all’affermazione conciliare della ’libertà religiosa’, la quale – come dimostrò la tenacità con cui un gruppo di Padri conciliari vi oppose il magistero pontificio antecedente – non ha comportato soltanto un cambiamento nella tolleranza pratica, ma un’evoluzione dottrinale”.

12 L’ancora vigente Codice di diritto canonico (Can. 7), con “Sede Apostolica” (o “Santa Sede”) intende, non solo il Romano Pontefice, ma anche i Dicasteri della Curia Romana, per quae idem Romanus Pontifex negotia Ecelesiae expedire solet. Questi termini vengono ripresi ad verhum nella Costituzione Apostolica di Paolo VI sulla riforma della Curia Romana Regimini Ecclesiae Universae (n. 1 § 1), del 15 agosto 196 7 (AAS 59 [1967], 885 ss.), la quale inoltre qualifica la Curia Romana come organicum instrumentum quod ipse)Summus Pontifex) adhibet in suprema potestate exercenda.
Secondo il Regolamento Generale (AAS 60 [1968], 130 ss.) “La Curia Romana è composta dai dicasteri seguenti: Segreteria di Stato (o Papale) e Consiglio (o Sacra Congregazione) per gli Affari Pubblici Ecclesiastici, Sacre Congregazioni, Tribunali, Uffici, Segretariati, Consiglio dei Laici e Commissione di studio Iustitia et pax”.

13 Tra gli atti approvati in forma solenne si ricordano il decreto di san Pio V contro gli errori di Baio Ex omnibus afflictionibus, del 1º magg. 1572 (Denz.-Schönm., nn. 1901 ss.), la costituzione di Innocenzo X contro gli errori di Giansenio, del 31 magg. 1653 (ivi, nn. 2001 ss.), ecc. È noto anche quanto Pio IX (21 dic. 1863: ivi, n. 2880) scriveva all’arcivescovo di Monaco: Cum agatur de illa subiectione quo ex conscientia ii omnes catholici obstringuntur [...], opus esse ut se subiciant [...] decisionibus quae ad doctrinam pertinentes a Pontificiis Congregationibus proferuntur; e quanto san Pio X scriveva il 18 nov. 1907 (Praestantia Scripturae: ivi, n. 3503): Universos omnes conscientia obstringi officio sententiis pontificalis Consilii de Re Biblica, sive quae adhuc sunt emissae, sive quae posthac edentur, proinde ac decretis SS. Congregationum ad doctrinam pertinentibus, probatisque a Pontifice, se subiciendi; nec posse notam tum detrectandae oboedientiae, tum temeritatis devitare, aut culpa propterea vacare gravi, quotquot verbis scriptisve sententias has tales impugnent; idque praeter scandalum quo offendant.
Specialmente dal pontificato di Pio XII un rilievo particolarissimo sono andate assumendo le Lettere della Segreteria di Stato, alcune delle quali, anche sotto i pontificati dei Successori, sono vere e proprie messe a punto dottrinali.

14 Siamo alla gamma delle "Note teologiche” dei manuali tradizionali: fidei proxima, certa, communis, probabilis...: altrettanti qualificativi tecnici, ufficiali o scolastici, che precisavano il grado o il livello tra un punto di dottrina e il deposito rivelato; e delle parallele Censure teologiche: Haeresi proxima o sapiens haeresim, erronea, sapiens errorem, temeraria..., che ne precisavano il grado o il livello di difformità.

15 Più recentemente è tornata sull’argomento la lettera di Paolo VI al card. M. Roy Octogesima adveniens, del 14 magg. 1971 (AAS 63 [1971], 401 ss.). Cfr in essa specialmente i nn. 4, 42 e 49 (diversità di situazioni e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa), 31 (scelte concrete rispetto al socialismo), 37 (“utopie” e richiamo cristiano), 38 (dialogo dei cristiani dediti alle scienze dell’uomo), 48 (ufficio della gerarchia ed iniziative dei laici).

16 Da semplice scambio di idee, il dialogo può assumere forme e scopi diversi: colloquio, puo intimizzarsi sino all’idillio; condotto con successive domande e risposte (dialogo socratico), può operare come ostetrico (maieutica) di verità; dibattito dialettico, è mezzo efficacissimo per chiarire concetti e termini, confutare errori, sbancare luoghi comuni acritici, costringere l’altro a restare nell’argomento. Ma può anche degenerare in retorica tribunizia, in diverbio, litigio, rissa.

17 J. ROCHE, op. cit., 46.

18 Cfr G. CAPRILE, Il Sinodo dei vescovi 1971: Seconda Assemblea Generale, Roma 1973, 1182.

19 Specialmente per le questioni pratiche la Gaudium et spes (n. 37) traccia queste norme di dialogo tra la gerarchia ed i fedeli: “I laici [...], secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere ai pastori il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorra, si faccia questo attraverso gli organi stabiliti a questo scopo nella Chiesa, e sempre con verità, fortezza, prudenza [...]. Da parte loro i sacri pastori [...] si servano volentieri del loro prudente consiglio [...]. Considerino attentamente [...] le richieste e i desideri proposti dai laici [...]. Da questi familiari rapporti tra i laici ed i pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa. In questo modo, infatti, s’irrobustisce nei laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei pastori. E questi, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e opportunità, tanto nelle cose spirituali come nelle temporali, in modo che la Chiesa, sostenuta da tutti i suoi membri, compia con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo”.

20 Lumen gentium, 12, cit. in Communio et progressio, n. 116.

21 Ecclesiam suam, 119. – Parafrasa la Communio et progressio (n. 117): “Tuttavia, perché siffatto colloquio si svolga e s’incrementi felicemente , occorre che, anche nel dissenso, si osservi sempre la carita, e che in tutti perduri un vivo desiderio di conservare e rinsaldare l’intesa e l’armonia di tutti. Inoltre, bisogna procedere mossi sempre da volontà di costruire e non di demolire, e spinti da un’ardente amore alla Chiesa, e dalla ricerca di quella unione che Cristo ha dato quale segno distintivo della vera Chiesa e, dunque, dei fedeli autentici (cfr Gv 17,21)”.

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Articolo estratto dal volume II del 1973 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Sono note le incertezze che circa il concetto, la dinamica e la funzione sociale dell’opinione pubblica regnano, oggi, anche tra gli studiosi1, nonché le approssimazioni nebbiose con cui ne tratta molta pubblicistica divulgativa. Ma incertezze e nebbie s’infittiscono quando il discorso passa dall’opinione pubblica in generale all’opinione pubblica nella Chiesa. Discorso, tuttavia, attualissimo in questo post-Concilio, non meno di quello sull’informazione nella Chiesa2 – i due sono interdipendenti –, come dimostrano i molti recenti scritti in proposito3. Sembra dunque conveniente soffermarsi ad esaminarne, distinguerne e vagliarne concetti e dati.

Come si pone il problema

Almeno nelle società dove democrazia vuol dire democrazia, e non dittatura dell’ideologia, il diritto di libera pubblica opinione è pacifico, e formalmente riconosciuto da solenni Dichiarazioni, anche internazionali4. Ciò dipende da due situazioni di fatto. La prima è che, a differenza degli antichi Stati, dov’era più o meno pacifico che i sudditi dovessero adeguarsi anche dottrinalmente all’autorità, persino nella professione e nella pratica della religione, gli odierni Stati democratici non riconoscono, tanto meno impongono, verità dommatiche, né interne né esterne: ma soltanto opinioni, pareri, teorie, dottrine... più o meno plausibili o tollerabili. La seconda è che gli stessi regimi assolutisti odierni, che – in maniera magari anche più drastica ed inumana di quelli storici – impongono ai cittadini comportamenti esteriori più o meno (ir)razionali, sono del tutto impotenti a forzarne le intelligenze, o almeno a vincolarne moralmente le coscienze.

Tutt’altra, invece, da quella di ogni società è la situazione della Chiesa, istituzionalmente dotata di un potere magisteriale autoritativo, secondo il quale essa non solo può e deve insegnare una sua verità, ma può e spesso deve anche vincolare moralmente la coscienza dei fedeli ad aderire, in certi casi con assenso incondizionato, a questa sua verità. Di qui tre questioni distinte ed interdipendenti: 1) se anche nella Chiesa ci sia spazio per legittime libere opinioni; 2) se anche nella Chiesa ci sia modo e libertà di far pubbliche queste libere opinioni; 3) se il dialogo ecclesiale così incrementato, ed il diritto così esercitato, coincidano o no col concetto di opinione pubblica e col diritto di libera pubblica opinione, di cui nelle su ricordate Dichiarazioni internazionali.

Argomento di questo articolo saranno le due prime questioni; la terza lo sarà di un articolo successivo.

Legittime libere opinioni

È indubbio che, anche nella Chiesa, possa e debba esserci ampio spazio per libere opinioni; cioè che tutti i fedeli, salvo prove in contrario, possano lecitamente avere opinioni personali, tanto sul piano dottrinale quanto su quello delle scelte pratiche, e che possano lecitamente esprimerle. Le ragioni sono molteplici.

Intanto: da una parte, gli individui, diventando membri della Chiesa di Cristo, non perdono affatto i propri inalienabili diritti di uomo, primo tra i quali quello di una fondamentale libertà di pensiero (e di comunicazione), là dove, o l’evidenza razionale o la Rivelazione divina non esigano assensi e scelte incondizionati; dall’altra, le verità nelle quali, di fatto, il Magistero ha impegnato irreformabilmente la propria autorità – attestando quel depositum fidei che la Chiesa ha ereditato dalla predicazione apostolica espressa nella Scrittura e nell’autentica Tradizione – sono relativamente poche; e pochi sono gli elementi strutturali che, nel concreto sviluppo della Chiesa nel tempo, devono ritenersi intangibili per volontà divina.

Inoltre, l’appartenenza alla Chiesa – contrariamente a quanto sembra aver stabilito certa catechesi passata – non si risolve nel solo rapporto tra docenti-imperanti da una parte e discenti-obbedienti dall’altra, ma continua nel dialogo di tutto il Popolo di Dio, mediante tutti i carismi di iniziativa e di illuminazione che, sia pure differenziandoli, la libera azione dello Spirito Santo si riserva di compartire tanto alla gerarchia quanto ai semplici fedeli. In altri termini, nella struttura della Chiesa quale Cristo l’ha fondata, la crescita dell’unico corpo nella verità e nella carità non è affidata soltanto all’autorità di magistero e di governo5 ed al potere di santificazione della gerarchia, ma anche ai fedeli, chiamati, in quanto partecipi del sacerdozio e dell’ufficio profetico e regale di Cristo, a cooperare come base attiva, sempre che restino legati dal vincolo di comunione e di subordinazione gerarchica nei confronti dei legittimi pastori. Il che comporta in tutti essi, nella misura delle loro disponibilità e dei particolari carismi, la possibilità di partecipare – con ampia libertà di opinione, di espressione e, se necessario, di dibattito – all’elaborazione concettuale della dottrina cattolica, nonché alle sue applicazioni pratiche nelle concrete mutevoli situazioni storico-locali, in cui la Chiesa si trovi a vivere6.

Del resto, la storia della Chiesa sta a dimostrare che le formulazioni dottrinali e le scelte pratiche non vi sono mai cadute, tutte fatte, dall’alto, ma vi sono state cercate nella discussione libera, talvolta violenta (e non sempre edificante: come nella famosa controversia De auxiliis, o dei riti cinesi), nonché dalla sperimentazione locale, poi passata in prassi universale7. Si deve a malaugurate circostanze (tra esse, in tempi vicini, la lotta antimodernista) se, specialmente negli ultimi tempi, il dibattito di opinioni nella Chiesa è finito col diventare oligopolio degli specialisti: la quasi totalità dei fedeli, e molti dello stesso clero, restandone fuori quasi del tutto, rassegnati a ricevere passivamente l’insegnamento della gerarchia e ad elencare le opinioni dei teologi.

Ancora: il Divino Fondatore, pur provvedendoli del charisma veritatis certum, ai pastori e maestri della Chiesa non ha conferito la scienza infusa, né garantito la scienza acquisita, di ogni dottrina e disciplina; e neanche il discernimento ottimale per ogni applicazione-soluzione pratica, specialmente nelle cosiddette materie miste. Ciò era vero anche nelle epoche passate; ma è mille volte più vero oggi, col dilatarsi dello scibile, il moltiplicarsi e differenziarsi delle specializzazioni, la sempre maggiore complessità delle situazioni ed il pluralismo culturale, che caratterizzano la nostra epoca. Di qui, da una parte, l’inevitabile moltiplicarsi e differenziarsi di opinioni nei fedeli, anche non collimanti con quelle della gerarchia; dall’altra la sempre maggiore convenienza e necessità dell’apporto opinionale dei fedeli, specialmente se competenti in settori specifici, alla dottrina ed alla vita pratica ecclesiale. Ad rem la Gaudium et spes (nn. 43 e 62):

“I laici non pensino che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto, che ad ogni nuovo problema, anche a quelli più gravi, possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; ma piuttosto – sempre alla luce della sapienza cristiana, e prestando fedele attenzione alla dottrina del Magistero – assumano essi le loro proprie responsabilità[...].
”[...]. È anzi desiderabile che molti laici acquistino una conveniente formazione nelle scienze sacre e che non pochi tra di loro si diano di proposito a questi studi, e li approfondiscano. Ma, affinché possano esercitare il loro compito, sia riconosciuta ai fedeli – cosi ecclesiastici come laici – la giusta libertà di ricercare, di pensare, di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo di cui sono competenti”8.

L’ambito opinionale

Quale, in concreto, nella Chiesa il legittimo spazio per le libere opinioni? – Si risponde che nella Chiesa un “dato” condiziona la formazione e l’incremento di tutte le opinioni, pubbliche o meno, in quanto queste non possono prescinderne, ma da esso devono partire e ad esso devono arrivare. Ed è il depositum fidei, contenuto nella S. Scrittura e nella Tradizione, autenticamente interpretato dal Magistero vivo della Chiesa, “la cui autorità è esercitata in nome di Gesù Cristo”9. Si può quindi affermare, con le dovute precisazioni, che gli interventi del Magistero, in pratica, fissano i limiti dello spazio opinionale; e ciò, non perché mortifichino nei fedeli la libertà di pensare, ma perché via via li liberano verso maggiori spazi di libertà, se è vero, com’è vero, che è la verità che ci libera: veritas liberabit vos! (Io 8, 32). Essi, infatti, riducono le zone di dubbio di un’alternativa rispetto alle altre, accrescendone le probabilità di maggiore prossimità al vero, sino, in casi-limite, a dissolvere nella certezza assoluta ogni dubbio opinionale, definendo una verità come divinamente rivelata.

Però, a tutela della libertà e della verità, anche in questi interventi definitòri del Magistero occorre tener presenti i contenuti precisi, in modo da non includervi ciò che non ne faccia parte (per esempio: la morte o meno di Maria nella definizione dommatica della sua assunzione al cielo), né da escluderne ciò che una ulteriore e più approfondita comprensione del dato rivelato potrebbe acquisire (per esempio: la collegialità episcopale, con la quale il Vaticano II ha perfezionato la dottrina del Vaticano I sul primato pontificio). Occorre, inoltre, ricordare che le formulazioni dei dogmi possono essere migliorate, precisate e completate; occorre, infine, tener presenti gli errori contro i quali, generalmente, gli stessi interventi furono diretti, ed il clima, forse fortemente polemico, del tempo nel quale furono formulati. Scrive J. Roche10:

“La Chiesa afferma soltanto che le formule da essa adottate sono buone, che non portano né a cadere nell’errore né a vicoli ciechi nella fede. In seguito la Chiesa non dovrà disdirsi né sconfessare ciò che ha definito. Ma la formula adottata, per quanto giusta, potrà sempre venire migliorata, e completata in una sintesi più vasta, senza che questa integrazione modifichi la sostanza dell’acquisizione religiosa ottenuta. Quanto è definito resta tale per sempre. Ma è un’approssimazione, benefica e sufficiente; è un passo nella serie delle approssimazioni, in questo avvicinarsi mai terminato nella nostra ricerca e conoscenza di Dio per Gesù Cristo. Anche le definizioni dommatiche, con le loro formule, risentiranno sempre del modo di esprimersi del tempo e degli errori contro cui sono state pronunciate. Perciò, per ben comprenderle, occorrerà sempre reinquadrarle nel contesto culturale, storico e religioso, come pure nella problematica del tempo e nel clima di controversie polemiche dell’epoca”.

Non basta. L’assenso dei fedeli ai contenuti proposti dal Magistero ancora non come verità di fede, potrà essere più o meno opinionale secondo il modo ed il grado col quale esso vi si impegni11. Altro è, infatti, un atto del magistero solenne, conciliare o pontificio, altro un atto del magistero ordinario: del papa, di conferenze episcopali o di vescovi singoli; e, nello stesso magistero della Sede Apostolica12, altro peso potrà avere un’enciclica dottrinale, altro un discorso occasionale del Papa; altro gli atti dei diversi Dicasteri, secondo che vengano approvati dallo stesso Sommo Pontefice in forma solenne, o in forma comune13. Inoltre, altro indice di verità oggettiva può essere la convergenza costante di prese di posizione da parte del Magistero ordinario ai diversi livelli, altro la catechesi corrente tacitamente approvata da esso, altro l’insegnamento di qualche scuola teologica, o di un dottore privato14.

A complemento di queste precisazioni circa l’ambito opinionale va notato che il Magistero autentico può intervenire – anche non impegnando la propria infallibilità, ma soltanto la propria autorità –, non solo per esigere dai fedeli l’assenso interno a verità dottrinali, ma anche – come spesso ha fatto e fa – per obbligarli in coscienza a comportamenti esterni, nell’applicazione pratica dei principi all’ordine temporale. In questo caso, l’eventuale legittimo spazio opinionale non deve nuocere alla doverosa disciplina cristiana. Così, a questo proposito la Mater et magistra (n. 238):

”È ovvio che quando, in materia, la gerarchia ecclesiastica si è pronunciata, i cattolici sono tenuti a conformarsi alle sue direttive: giacché compete alla Chiesa il diritto e il dovere, non solo di tutelare i principi dell’ordine etico e religioso, ma anche d’intervenire autoritativamente nella sfera dell’ordine temporale, quando si tratta di giudicare dell’applicazione di quei principi ai casi concreti”.

Va notato, inoltre, che possono fornire ampia materia di opinioni le stesse definizioni dogmatiche: nell’appurarne il senso preciso (per esempio: l’istituzione “divina” dei sette sacramenti, definita dal Tridentino), nell’approfondirne il contenuto (per esempio: inerranza della S. Scrittura e generi letterari), nel tentarne la concordia con le acquisizioni delle scienze e delle discipline umane (per esempio: il peccato originale e l’opinionale poligenismo umano) e, come s’è detto, nell’adeguarne l’espressione concettuale-linguistica, storicamente “datata”, ai mutevoli schemi culturali-espressivi delle diverse epoche (per esempio: a proposito del termine “transustanziazione”)... In argomento, così la Communio et progressio (n. 117):

“In realtà, il campo nel quale può estendersi l’interno dialogo con la Chiesa è vastissimo. Vero è, infatti, che le verità di fede toccano la sua essenza e che, come tali, assolutamente non possono essere lasciate all’arbitraria interpretazione dei singoli; tuttavia la Chiesa avanza con la storia umana, perciò nelle sue deliberazioni si deve adattare alle differenti condizioni di tempi e di luoghi, cosi da esporre le verità della fede tenendo conto delle diverse situazioni storiche, di civiltà e culturali, e da adattare la prassi pastorale al mutare dei tempi e delle circostanze concrete. Perciò, purché resti fedele al magistero, ogni cattolico può e deve ricercare liberamente, per approfondire il dato rivelato e per esprimerlo in maniera adeguata ai singoli mutevoli contesti culturali [...]”.

Infine, va notato che il campo opinionale va ampliandosi e motivandosi in proporzione, sia alla maggiore competenza culturale specifica delle persone opinanti, sia al distanziarsi degli argomenti e delle questioni dall’ambito dei principi etico-religiosi, verso quello delle applicazioni concrete-temporali. Precisa, infatti, Giovanni XXIII nella Pacem in terris (nn. 159 ss.) a proposito di “incontri in ordine pratico” con movimenti politici diversi:

“Decidere se tale momento è arrivato, come pure stabilire i modi e dell’eventuale consonanza di attività [...] da parte dei cattolici, spetta in primo luogo a coloro che vivono od operano nei settori specifici della loro convivenza in cui questi problemi si pongono, sempre tuttavia in accordo con i principi del diritto naturale, con la dottrina sociale della Chiesa e con le direttive dell’autorità ecclesiastica”.

Perciò, mentre non si esclude che teologi e biologi, o sociologi e politologi, possano avere ragioni plausibili per dissentire, poniamo, da documenti del Magistero ordinario, per esempio da un’enciclica, resta quanto mai improbabile che possa averne di valide il lettore generico (si direbbe “l’uomo della strada”, se non si trattasse di fedeli). Perciò, ancora, le “note” teologiche, di cui sopra, per lo più non saranno applicabili alle categorie ed alle scelte politiche, economiche, sociali, scientifiche, tecniche, estetiche..., che i cattolici possano adottare; le quali, non per niente cambiano secondo le epoche, i popoli (e le mode): generalmente, infatti, basta che non contrastino col Vangelo15.

Il dialogo opinionale

Ai fedeli, così liberi di opinare, va anche riconosciuto il diritto (e il dovere) di manifestare e confrontare le proprie idee nel dialogo, privato e pubblico, e magari anche nel dibattito16? – Sì, senz’altro: e per quella libertà di espressione che, diritto nativo di ogni uomo, lo resta anche, come s’è detto, di ogni cristiano; e per la convinzione di una ormai raggiunta “maggiore età” (cfr 1Cor 3,1 ss.) che va consolidandosi, a tutti i livelli, tra i fedeli; e soprattutto per l’incremento che alla vita ecclesiale apporta l’equilibrato afflusso dei carismi propri di tutti i suoi membri: incremento che rende il dialogo, non solo utile, ma necessario.

Utile e necessario, per esempio, tra teologi e pastori. Molti di questi, infatti, soprattutto se oberati di pratiche amministrative, potrebbero non avere le possibilità di speculazione e di ricerca erudita occorrenti per approfondire la dottrina cattolica; in questo caso, quindi, per aggiornarsi, non potrebbero dialogare con – chiamiamoli così – i “professionisti” della teologia; ma ciò non autorizzerebbe questi a chiudersi nel monologo, ed a farsi essi stessi Magistero. Nota padre Roche:

“Anche giudicando con la testa, il magistero affidato ai vescovi è una vera trovata. Importa molto, infatti, che a fissare la dottrina della Chiesa siano i suoi capi, i responsabili della vita totale dei fedeli e della comunità, e non i teorici e gli eruditi senza responsabilità diretta. Infatti questi, per gusto o deformazione professionale, rischiano di diventare manipolatori di concetti disincarnati, senza alcuna relazione immediata con gli individui e i gruppi [...]. Invece, i contatti ed i confronti con la realtà suggeriscono la prudenza avanti alle idee troppo chiare ed assolute, le soluzioni troppo rigorose ed i sistemi perfettissimi. È il tatto e la psicologia della pastorale, della giurisprudenza e della politica nel senso aristotelico del termine [...]. Lacuna per lacuna e difetto per difetto, se si dovesse scegliere, i vescovi empiristi e senza specializzazione (rimprovero frequente) sarebbero da preferire ai logici rigorosi ed argomentatori infallibili”17.

Ma il dialogo è utile e necessario anche tra pastori e specialisti da una parte, istanze intermedie e semplici fedeli dall’altra; dato che i primi, generalmente, sono più solleciti della dottrina e dei principi teologici, e più aperti al bene comune, mentre i secondi possono essere competenti in settori culturali e tecnici specifici, o migliori conoscitori delle situazioni concrete, e più sensibili ai bisogni locali; in ogni caso, se “fedeli” autentici, sono portatori di quel sensus fidelium che, e magistero e teologia, devono pure accertare.

Utilissimo, poi, e necessarissimo il dialogo con la stampa e, in genere, con gli informatori dei mass media; vale a dire: con gli onnipresenti e più potenti manipolatori d’opinioni pubbliche (opinion leaders), i quali, cattolici o no, sono ormai il tramite obbligato, e perciò anche condizionatore, pure del dialogo ecclesiale.

Le condizioni del dialogo

Utilità e necessità vogliono dire anche doveri. Già s’è detto del normale dovere di parlare da parte delle autorità che sono alle fonti delle notizie. Ma non si esclude che pari doveri, di prender parte personalmente al colloquio, ricadano sui semplici fedeli; i quali, secondo il posto di responsabilità che occupano, o la loro competenza religioso-specifica nei diversi settori, non potranno accontentarsi di un rispettoso silenzio. Ma dovere di tutti indistintamente è che il dialogo si svolga in aedificationem, non in destructionem (2Cor 10,8) della Chiesa, vale a dire: sia dialogo autenticamente umano e cristiano. A questo fine deve soddisfare alcune condizioni: oggettive e soggettive.

Prima condizione oggettiva è mantenere netta in ogni caso la distinzione tra opinioni personali, più o meno probabili, e dottrina autentica della Chiesa. Come nota la Gaudium et spes (n. 43), per lo più la stessa visione cristiana della realtà orienterà i fedeli, in date circostanze, ad una soluzione piuttosto che ad un’altra:

”[...] tuttavia, altri fedeli, altrettanto sinceramente, potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, ciò che succede abbastanza spesso e legittimamente. Che se le soluzioni proposte da una parte o dall’altra, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate col messaggio evangelico, in tali casi ricordino che a nessuno è lecito rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa”.

Siffatta deprecata confusione può verificarsi anche a causa della presunta rappresentatività ecclesiale della persona opinante, oppure del veicolo-strumento di comunicazione che venga usato. Infatti, già un laico notoriamente cattolico, che parli o scriva in ambienti o giornali laici od acattolici, rischia di passare senz’altro per rappresentante del pensiero cattolico; ma a maggior ragione, ne siano consapevoli o no, lo rischiano quelli del clero, soprattutto se sono, o passano in qualche modo, per “gerarchia” (teologi, vescovi, “del Vaticano”, cardinali). Ed anche più, poi, se qualcuno di questi pubblichi le proprie opinioni in giornali, o con altri veicoli “cattolici”, “della Chiesa”, magari ufficiosamente o ufficialmente “ecclesiastici”, “del Vaticano” (come l’Osservatore Romano o la Radio Vaticana), o addirittura parlando dal pulpito o dall’altare... Per questo motivo, specialmente per i membri del clero, sarà spesso prudente, e forse anche necessario, rinunciare all’uso di qualche legittimo diritto.

Rileva, a questo proposito, il Documento sul Sacerdozio ministeriale, del III Sinodo dei Vescovi-197118:

“59. – Nelle circostanze in cui diverse scelte politiche, sociali o economiche siano legittime, i presbiteri, come tutti i cittadini, hanno il pieno diritto di fare le loro scelte. Dato però che le scelte politiche di per sé sono contingenti, e non interpretano mai in forma del tutto adeguata e perenne il Vangelo, il presbitero, che è testimone delle realtà future, deve mantenere una certa distanza da qualsiasi incarico e passione politica.
“60. – Per restare però segno valido di unità ed essere in grado di annunciare il Vangelo nella sua pienezza, il presbitero può talvolta essere obbligato ad astenersi in questo campo dall’esercizio del proprio diritto. Inoltre occorre far sì che la sua scelta non appaia ai cristiani come l’unica legittima, né diventi motivo di scissioni tra i fedeli [...].
“61. – L’assumere una funzione direttiva (leadership), o militare attivamente in favore di un qualche partito politico, dev’essere escluso da ogni presbitero, a meno che, in circostanze concrete ed eccezionali, ciò sia realmente richiesto dal bene della comunità; in ogni caso col consenso del vescovo, dopo aver consultato il consiglio presbiterale e, se necessario, la Conferenza Episcopale”.

Altro fattore che occorre tener presente affinché il dialogo avvenga in aedificationem, non in destructionem, è la natura dei contenuti dati come opinionali, in rapporto alla preparazione e maturazione religiosa e culturale dei recettori. Non si può infatti negare l’esistenza di questioni particolarmente delicate, o per la loro stretta connessione con punti focali del depositum fidei, o per la loro complessità: come – per rifarci a casi recenti – la storicità dei Vangeli dell’Infanzia, il peccato originale, la risurrezione di Gesù, l’intercomunione, il celibato ecclesiastico, la regolamentazione delle nascite, i rapporti prematrimoniali, il problema della violenza sociale, l’ordine sacro conferito alle donne, l’elezione del Sommo Pontefice...

Per proporre in pubblico problemi simili, i luoghi più indicati, probabilmente, saranno la cattedra accademica, la rivista specializzata, il dialogo interpersonale19: ove, cioè, sia possibile esporre analiticamente le questioni, pesarne i termini, discuterne i pro e i contro: avanti ad uditòri capaci di seguire e giudicare criticamente; non, invece, l’omelia domenicale, tanto meno “la piazza” eterogenea e superficiale dei giornali, dei rotocalchi, degli incontri radio-tv: dove i problemi complessi, forzatamente semplificati, finiscono con l’essere falsati, i termini tecnici vengono facilmente travisati, il pubblico impreparato tende a rilevare, più che altro, il lato provocatorio-scandalistico, o curioso-bizzarro, delle questioni. Nella prassi non mancheranno le difficoltà. Da una parte, infatti, non si può e non si deve impedire ai teologi, ed ai competenti in genere, la ricerca scientifica, la quale spesso procede per “ipotesi di lavoro”, che dovranno essere verificate dall’ulteriore ricerca e, secondo i casi, accettate o respinte. È quindi inevitabile che teologi, o altri competenti, avanzino – sia pure con tutte le necessarie cautele – proposte che possono a prima vista apparire pericolose per la purezza della fede e scandalizzare i fedeli più semplici. D’altra parte la stampa – e non solo questa! – a caccia del sensazionale e dello scandalistico, tende non solo a buttarsi sulle ipotesi di lavoro, ma anche a presentarle come verità acquisite, conquiste teologiche assodate, ed a mostrare quindi gli studiosi che le hanno espresse come in contrasto con la gerarchia, che ne sia dubbiosa o le dichiari pericolose per la fede.

In questa situazione occorre prudenza, insieme, da parte dei teologi, della stampa e dei fedeli.

I primi, sapendo che saranno sfruttati in senso e a scopi estranei, dovranno evitare la divulgazione di ipotesi troppo azzardate, o non seriamente fondate; e dovranno soprattutto sottrarsi al fascino – oggi non ipotetico – di passare per vedettes in campo teologico, sparando a zero sulla teologia “ufficiale”. Toccherà poi alla stampa di divulgazione, soprattutto “cattolica”, fare opera di discernimento, astenendosi tanto da entusiasmi acritici quanto da condanne aprioristiche, chiarendo che si tratta, non di “nuova” e “moderna” teologia, ma appunto di ipotesi, le quali potrebbero, ad un ulteriore esame, risultare false o incomplete; rilevando, inoltre, quanto in esse può esserci di positivo e quanto di negativo o di pericoloso per la fede cristiana. Occorrerà, infine, un’adeguata azione pastorale d’informazione teologica dei fedeli, sì da renderli capaci di accogliere le nuove ipotesi teologiche, bene o male proposte dalla stampa, con illuminato e saldo spirito critico, senza quindi scandalizzarsi, ma anche senza entusiasmi immotivati.

“Per queste ragioni – nota ancora la Communio et progressio (n. 116) – è sempre necessario distinguere tra la ricerca scientifica e l’istruzione dei fedeli. Nella prima, i veramente competenti devono godere della libertà necessaria alla loro attività, sicché possano anche comunicare ad altri, con saggi e libri, i risultati dei loro studi; mentre nella seconda è lecito esporre come dottrine della Chiesa soltanto quelle che siano proposte come tali dal magistero cosiddetto autentico, e quelle che sono considerate come sicure. Dato però che, per la natura stessa degli strumenti della comunicazione sociale, avviene che nuove opinioni di teologi vengano divulgate prematuramente, e spesso in sedi non appropriate, toccherà ai recettori accoglierle con senso critico, e non prenderle per dottrine autentiche dalla Chiesa; e ricordare, inoltre, che dette opinioni spesso vengono gravemente deformate dal genere e dal modo di presentazione, popolare e non scientifico, proprio degli strumenti”.

Tra le doti soggettive necessarie a tutti i partecipanti ad un dialogo opinionale autenticamente umano e cristiano – siano essi laici o “gerarchia” – occorre mettere, prima di tutte, antecedente al dialogo stesso, una sufficiente informazione su tutti i dati di fatto attinenti alla questione di cui si tratti, nonché una cultura generale e religiosa, ed una competenza specifica proporzionata alla loro difficoltà e complessità; il tutto compenetrato da

“quel soprannaturale sensus fidei che è suscitato ed alimentato dallo Spirito di verità, sicché il Popolo di Dio, sotto la guida del magistero sacro, e rispettoso dei suoi insegnamenti [...], aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa [...], con retto giudizio penetra in essa più a fondo, e più pienamente l’applica alla vita”20:

sensus fìdei che nei singoli fedeli è mantenuto vivace dalla preghiera e da una coerente vita cristiana. Solo questo, senza di quelle, non basterebbe ad un dialogo fruttuoso, perché confinerebbe le opinioni tra le intenzioni “edificanti”, sì, ma fuori del reale contesto esistenziale; mentre quelle, senza di questo, incrementerebbero, sì, il dialogo, ma degradandolo ad “umano”, nel senso deteriore.

Altro requisito soggettivo, necessario durante il dialogo stesso, è la padronanza di se stessi, nel controllo dei propri nervi e dei propri sentimenti, nell’esclusione di ogni interesse egoistico; insomma: l’esercizio delle virtù cristiane, prima tra le quali la carità, fautrice di concordia e di pace. Così Paolo VI:

“Lo spirito [...] di critica e di ribellione male si accorda con la carità animatrice della solidarietà, della concordia, della pace nella Chiesa, e trasforma facilmente il dialogo in discussione, in diverbio, in dissidio; spiacevolissimo fenomeno, anche se, purtroppo, sempre facile a prodursi, contro il quale la voce dell’apostolo Paolo ci premunisce: ’Non vi siano tra voi scismi’ (1Cor 1,10)”21.

Realizzate queste condizioni ideali di un ideale dialogo ecclesiale, resta ancora aperta la questione di una opinione pubblica nella Chiesa? – Si vedrà in un prossimo articolo.

1 Cfr Variazioni sulla [cosiddetta] opinione pubblica, in Civ. Catt. 1973 I 144 ss.

2 Cfr Segreto e informazione nella Chiesa, in Civ. Catt. 1973 II 347-358.

3 Tra quelli di qualche rilievo si ricordano: 1. Dialogue à l’intérieur de l’Eglise: Symposium organisé por le Consell des Laïcs (numero speciale di Laïcs aujourd’hui, 1971, nn. 9-10). 2. Freiheit des Denkens im kirchlichen Raum (in Wort und Wahrheit, magg.-giu. 1969, n. 24, 195 ss.). 3. La opinión pública en la lglesia de hoy (in Mensaje, ag. 1965, 413 ss.). 4. Opinión pública en lo lglesia (in Sic, sett.-ott. 1969, 334 ss.). 5. Public opinion in the Church (in The Priest, febbr. 1969, n. 25, 66 ss.). 6. ARAUD, L’opinion publique dans l’Egllse, Réflexion théologique (in Chronique sociale de France, 30 giu. 1966, n. 74, 14 ss.). 7. M.D. CHENU, "Vox populi, vox Dei”: l’opinion publlque dans le peuple de Dieu (in IDOC, ott. 1967, 9 ss.; Il regno, 15 nov. 1967, 405 ss.; Questitalia, dic. 1967, 81 ss.). 8. E. CHIAVACCI, L’opinione pubblica nella Chiesa (in Rivista di teologia morale, 1970, n. 2, 19 ss.). 9. A. DEL PORTILLO, La opinión pública en lo lglesia (in Nuestro tiempo, mar. 1972, 32 ss.). 10. J. FOLLIET, Le jeu de l’opinion publique dans l’Eglise (in Chronique sociale de France, giu. 1966, 2 ss.). 11. E. GUERRERO, La opinión pública en la lglesia e La creación e mantenimiento de una sana opinión pública (in Razón y fe, lug. 1960, 45 ss.; 1961, XX ss.). 12. R. LA VALLE, Il giornalista e l’opinione pubblica nella Chiesa (in Laici sulle vie del Concilio, Assisi, Cittadella, 1966, 261 ss.). 13. E. card. LEGER, Le prêtre et l’opinion publique dans l’Eglise, (in La documentation catholique, 17 lug. 1966, 1313 ss.). 14. J.L. MARTIN DESCALZO, La opinión pública en la lglesia: extensión y limites (in Razón y fe, mag. 1972, 433 ss.). 15. J.L. McKENZIE, L’autorità nella Chiesa, Torino 1969 (cfr Civ. Catt. 1971 III 308). 16. I. PEREZ DE VISO, La libertad de opinión en la lglesia (in Estudios, 1964, n. 12, 757 ss.). 17. J. PIQUER, La opinión pública en la lglesia, Madrid 1965. 18. K. RAHNER, Libertà e manipolazione nella Chiesa e nella società; Bologna 1971 (cfr Civ. Catt. 1972 II 507). 19. J. REMY, Opinion publique, groupes dé pression et autorlté constituée dans lo vie de l’Eglise catholique (in Social Compass, 1972, n. 19, 155 s.). 20. J. ROCHE, Liberté du chrétien, autorité de l’Eglise, Paris 1971 (cfr Civ. Catt. 1972 IV 516).

4 Capofila ne fu la francese Déclaration des droits de l’homme et du citoyen, del 26 agosto 1789, ripresa dalla Costituzione del 1791, che al § 11 recitava: "La libre communication des pensées et des opinions est un des droits le plus précieux de l’homme; tout citoyen peut donc parler, écrire, imprimer librement, sauf à répondre de l’abus de cetre liberté dans les cas déterminés ear la loi”. Recentemente hanno fatto seguito la Déclaration universelle des droits de l’homme, da parte dell’ONU (Parigi, 10 dic. 1948: artt. 18 e 19), e la Convention de sauvegarde des droits de l’homme et des libertés fondamentales, del Conseil d’Europe (Roma, 4 nov. 1950: artt. 9 e 10). Su di esse, e sul Progetto di convenzione sulla libertà d’informazione presso l’ONU da parte dell’UNESCO, cfr Journalistes Catholiques 1964, nn. 16-17, 20 ss.; 1968, n. 38, 6 ss. – Per l’Italia, è noto l’art. 21 della Costituzione Repubblicana, del 1947, che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione [...]”.

5 Cosi la Dei verbum (n. 8): “Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro (cfr Lc 2,19 e 51), sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di verità”.

6 Conferma la Lettera della Segreteria di Stato, del 25 giugno 1971, all’UCIP (n. 6): “L’ambito dell’opinione [...] nella Chiesa si estende tanto alla dottrina quanto alla prassi, vale a dire: a tutta la vita Certamente: il magistero dottrinale, il governo pastorale e il potere di santificare sono stati affidati da Cristo non a tutti i fedeli indistintamente; tuttavia tutti i battezzati e confermati, in virtù della loro rispettiva partecipazione al sacerdozio di Cristo, sono chiamati a collaborare attivamente alla crescita del Popolo di Dio nella verità e nell’amore. Tutti – quanti hanno ricevuto, con la successione episcopale, uno specifico carisma di verità, presbiteri e fedeli –, nella misura delle proprie possibilità e dei particolari carismi, devono poter partecipare all’elaborazione concettuale e alla formulazione del messaggio cristiano, nonché alla scoperta degli elementi atti ad illuminare le stesse situazioni storiche di questo mondo mutevole”.

7 Ancora la Lettera (n. 7): "[...] le stesse formulazioni dottrinali e te scelte pratiche della gerarchia sono maturate grazie anche al contributo dell’intero Popolo di Dio, il cui sensus fidei e la carità sono suscitati e alimentati dallo Spirito di Cristo”.

8 Continua la stessa Lettera (n. 17 e 9): "[...] c’è posto in seno al Popolo di Dio per una legittima pluralità di opinioni, pubbliche o no. Data la limitatezza della nostra natura, si potrebbe affermare che il pluralismo è un’esigenza della inesauribile ricchezza della verità; inoltre esso si fonda sul fatto che le questioni dottrinali sono spesso oscure e difficili e che è lecitamente possibile applicare diversamente, in concreto, certi principi”. "[...] la vita pratica della Chiesa dipende da dati di fatto che sfuggono al suo influsso, la valutazione dei quali richiede un’attenzione seria e costante. Pure qui l’opinione [...] può apportare un aiuto insostituibile, facendo luce su situazioni la cui conoscenza giunge alla gerarchia ecclesiastica per tramite dei laici impegnati nelle attività temporali”.

9 Dei verbum, 10.

10 J. ROCHE, op. cit, alla nota 3, n. 20, 48 ss.

11 A conferma, non mancano nella storia della Chiesa casi di errori – oltre quello classico di Galilei – spiegabili con le situazioni socio-culturali delle diverse epoche, poi riconosciuti e rettificati dal Magistero posteriore. Scrive J. IRIBARREN (Liberté de la presse dans le domaine religieux, in Civitas, 1970, n. 8, 608 ss.): “Oggi nessuno sostiene la tesi erronea della ’supremazia temporale’ della potestà pontificia sui re, pur accettata nel Medio Evo, e perentoriamente affermata nell’Unam sanctam di Bonifacio VIII. Dal pontificato di Innocenzo XII sino a quello di Benedetto XIV, vale a dire per quarantanove anni, si trascinò la controversia ’dei riti cinesi’, nella quale pesò l’intransigenza di sei papi (Innocenzo XII, Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Clemente XII, Benedetto XIV), nonché del sant’Uffizio. Troncata nel 1742, Pio XI, nel 1935, non soltanto corresse la decisione pratica di allora, ma anche la dottrina. L’insegnamento tradizionale su l’usura del pecunia non parit, perfettamente sostenibile per tutto il Medio Evo, avrebbe dovuto evolvere col secolo XV insieme con l’evolversi della natura della moneta e del commercio. Eppure, in pieno secolo XVIII, la vecchia concessione veniva ancora difesa severamente nell’enciclica Vix pervenir di Benedetto XIV, quando cioè da due secoli la sua applicazione contraddiceva chiaramente la situazione reale. Oggi, nella morale cattolica, la liceità del prestito ad interesse è del tutto pacifica. Noi, poi, abbiamo assistito all’affermazione conciliare della ’libertà religiosa’, la quale – come dimostrò la tenacità con cui un gruppo di Padri conciliari vi oppose il magistero pontificio antecedente – non ha comportato soltanto un cambiamento nella tolleranza pratica, ma un’evoluzione dottrinale”.

12 L’ancora vigente Codice di diritto canonico (Can. 7), con “Sede Apostolica” (o “Santa Sede”) intende, non solo il Romano Pontefice, ma anche i Dicasteri della Curia Romana, per quae idem Romanus Pontifex negotia Ecelesiae expedire solet. Questi termini vengono ripresi ad verhum nella Costituzione Apostolica di Paolo VI sulla riforma della Curia Romana Regimini Ecclesiae Universae (n. 1 § 1), del 15 agosto 196 7 (AAS 59 [1967], 885 ss.), la quale inoltre qualifica la Curia Romana come organicum instrumentum quod ipse)Summus Pontifex) adhibet in suprema potestate exercenda.
Secondo il Regolamento Generale (AAS 60 [1968], 130 ss.) “La Curia Romana è composta dai dicasteri seguenti: Segreteria di Stato (o Papale) e Consiglio (o Sacra Congregazione) per gli Affari Pubblici Ecclesiastici, Sacre Congregazioni, Tribunali, Uffici, Segretariati, Consiglio dei Laici e Commissione di studio Iustitia et pax”.

13 Tra gli atti approvati in forma solenne si ricordano il decreto di san Pio V contro gli errori di Baio Ex omnibus afflictionibus, del 1º magg. 1572 (Denz.-Schönm., nn. 1901 ss.), la costituzione di Innocenzo X contro gli errori di Giansenio, del 31 magg. 1653 (ivi, nn. 2001 ss.), ecc. È noto anche quanto Pio IX (21 dic. 1863: ivi, n. 2880) scriveva all’arcivescovo di Monaco: Cum agatur de illa subiectione quo ex conscientia ii omnes catholici obstringuntur [...], opus esse ut se subiciant [...] decisionibus quae ad doctrinam pertinentes a Pontificiis Congregationibus proferuntur; e quanto san Pio X scriveva il 18 nov. 1907 (Praestantia Scripturae: ivi, n. 3503): Universos omnes conscientia obstringi officio sententiis pontificalis Consilii de Re Biblica, sive quae adhuc sunt emissae, sive quae posthac edentur, proinde ac decretis SS. Congregationum ad doctrinam pertinentibus, probatisque a Pontifice, se subiciendi; nec posse notam tum detrectandae oboedientiae, tum temeritatis devitare, aut culpa propterea vacare gravi, quotquot verbis scriptisve sententias has tales impugnent; idque praeter scandalum quo offendant.
Specialmente dal pontificato di Pio XII un rilievo particolarissimo sono andate assumendo le Lettere della Segreteria di Stato, alcune delle quali, anche sotto i pontificati dei Successori, sono vere e proprie messe a punto dottrinali.

14 Siamo alla gamma delle "Note teologiche” dei manuali tradizionali: fidei proxima, certa, communis, probabilis...: altrettanti qualificativi tecnici, ufficiali o scolastici, che precisavano il grado o il livello tra un punto di dottrina e il deposito rivelato; e delle parallele Censure teologiche: Haeresi proxima o sapiens haeresim, erronea, sapiens errorem, temeraria..., che ne precisavano il grado o il livello di difformità.

15 Più recentemente è tornata sull’argomento la lettera di Paolo VI al card. M. Roy Octogesima adveniens, del 14 magg. 1971 (AAS 63 [1971], 401 ss.). Cfr in essa specialmente i nn. 4, 42 e 49 (diversità di situazioni e direttive di azione nell’insegnamento sociale della Chiesa), 31 (scelte concrete rispetto al socialismo), 37 (“utopie” e richiamo cristiano), 38 (dialogo dei cristiani dediti alle scienze dell’uomo), 48 (ufficio della gerarchia ed iniziative dei laici).

16 Da semplice scambio di idee, il dialogo può assumere forme e scopi diversi: colloquio, puo intimizzarsi sino all’idillio; condotto con successive domande e risposte (dialogo socratico), può operare come ostetrico (maieutica) di verità; dibattito dialettico, è mezzo efficacissimo per chiarire concetti e termini, confutare errori, sbancare luoghi comuni acritici, costringere l’altro a restare nell’argomento. Ma può anche degenerare in retorica tribunizia, in diverbio, litigio, rissa.

17 J. ROCHE, op. cit., 46.

18 Cfr G. CAPRILE, Il Sinodo dei vescovi 1971: Seconda Assemblea Generale, Roma 1973, 1182.

19 Specialmente per le questioni pratiche la Gaudium et spes (n. 37) traccia queste norme di dialogo tra la gerarchia ed i fedeli: “I laici [...], secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talora anche il dovere, di far conoscere ai pastori il loro parere su cose concernenti il bene della Chiesa. Se occorra, si faccia questo attraverso gli organi stabiliti a questo scopo nella Chiesa, e sempre con verità, fortezza, prudenza [...]. Da parte loro i sacri pastori [...] si servano volentieri del loro prudente consiglio [...]. Considerino attentamente [...] le richieste e i desideri proposti dai laici [...]. Da questi familiari rapporti tra i laici ed i pastori si devono attendere molti vantaggi per la Chiesa. In questo modo, infatti, s’irrobustisce nei laici il senso della propria responsabilità, ne è favorito lo slancio e le loro forze più facilmente vengono associate all’opera dei pastori. E questi, aiutati dall’esperienza dei laici, possono giudicare con più chiarezza e opportunità, tanto nelle cose spirituali come nelle temporali, in modo che la Chiesa, sostenuta da tutti i suoi membri, compia con maggiore efficacia la sua missione per la vita del mondo”.

20 Lumen gentium, 12, cit. in Communio et progressio, n. 116.

21 Ecclesiam suam, 119. – Parafrasa la Communio et progressio (n. 117): “Tuttavia, perché siffatto colloquio si svolga e s’incrementi felicemente , occorre che, anche nel dissenso, si osservi sempre la carita, e che in tutti perduri un vivo desiderio di conservare e rinsaldare l’intesa e l’armonia di tutti. Inoltre, bisogna procedere mossi sempre da volontà di costruire e non di demolire, e spinti da un’ardente amore alla Chiesa, e dalla ricerca di quella unione che Cristo ha dato quale segno distintivo della vera Chiesa e, dunque, dei fedeli autentici (cfr Gv 17,21)”.

In argomento

Magistero

n. 3195-3196, vol. III (1983), pp. 209-222
n. 3188, vol. II (1983), pp. 154-161
n. 3141, vol. II (1981), pp. 222-237
n. 2990, vol. I (1975), pp. 144-157
n. 2983, vol. IV (1974), pp. 36-48
n. 2979-2980, vol. III (1974), pp. 242-247
n. 2950, vol. II (1973), pp. 347-358
n. 2952, vol. II (1973), pp. 547-559
n. 2911, vol. IV (1971), pp. 39-48
n. 2913, vol. IV (1971), pp. 235-253
n. 2882, vol. III (1970), pp. 154-160
n. 2859-2860, vol. III (1969), pp. 219-230
n. 2847, vol. I (1969), pp. 250-253
n. 2787-2788, vol. III (1966), pp. 314-315
n. 2702-2704, vol. I (1963), pp. 105-118, 313-325
n. 2636, vol. II (1960), pp. 124-39
n. 2612, vol. II (1959), pp. 113-124
n. 2605, vol. I (1959), pp. 66-69
n. 2555, vol. IV (1956), pp. 521-532
n. 2545, vol. III (1956), pp. 30-42
n. 2532, vol. IV (1955), pp. 601-609