NOTE
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1 ROBERT PRÉLOT, La presse catholique dans le Tiers Monde, Paris, Ed. Saint-Paul, 1968, 320. Fr. 27.

2 Nota l’A.: “La stampa in vernacolo incontra particolari difficoltà nelle tirature. Infatti le lingue sono legioni e, con tanti gruppi etnici differenti, è difficile reperire il pubblico sufficiente per un giornale stampato nella lingua della maggioranza del Paese. Pare che le lingue vernacolari, nella sola Africa, superino il migliaio, e che quelle dell’Africa francofona si contino tra le due e trecento. È anche più arduo contare le lingue in Asia, dove si raccoglie più della metà della popolazione del globo. Basti ricordare che la Costituzione dell’India riconosce 14 lingue principali, e se l’inglese totalizza, su 330 quotidiani, 697 mila lettori, nove lingue del Paese ne totalizzano insieme molto meno di due milioni (p. 80). Cfr anche pp. 99 ss., dove, tra l’altro, si nota che in Birmania, nelle montagne dell’Ovest, tra 300 mila cinesi si parlano ben 45 lingue, praticamente una per ogni villaggio.

3 Nel marzo 1965, per migliorare li servizio alle missioni nel mondo, le due istituzioni hanno firmato un accordo di spartizione geografica, secondo il quale all’Instituut van de Missiepers restano affidate l’America (del Nord e del Sud), ed i territori africani di lingua inglese; mentre all’Institut de Presse Missionnaire resta affidato il resto del mondo e l’Oceania, fatta eccezione per Manila nelle Filippine, dove il governo olandese continuerà a sovvenzionare i missionari originari dell’Olanda.

4 Il padre Emilio Gabel, come segretario dell’U.C.I.P., si era recato in 15 paesi dell’America Latina per mettere in esecuzione il piano di soccorso alla stampa cattolica locale, reso possibile dall’apporto finanziario della tedesca Adveniat. Nella notte tra il 5 e il 6 marzo 1968 trovò la morte in un aereo della linea Bogotà-Parigi, schiantatosi contro una montagna dell’Isola Guadalupe (Antille Francesi).

5 Si legga a 300-301 la storia del Bibliobus, offerto dall’I.P.M. al giornale cattolico Afrique nouvelle, di Dakar, per il Senegal e l’Alto Volta, malinconicamente liquidato per mancanza del danaro occorrente per benzina, autista e riparazioni.

6 Quest’ultimo problema si complica perché i giornalisti, una volta formati e lanciati, facilmente lasciano il giornale per posti di responsabilità politica e religiosa; il che, tutto sommato, non è male, ma non risolve i problemi della stampa. Nota 1: “In Africa un giornalista che si sia fatto le ossa diventa un personaggio influente, e lascia il giornale per altri posti. Una redazione, alla quale si rimproverava di non essere sufficientemente ‘africanizzata’, rispondeva: ‘In tre anni noi abbiamo formato un deputato, un ministro, un amministratore e... un vescovo’” (p. 132).

7 Circa l’urgentissima necessità di mass media in Africa rilevata dai Padri conciliari, cfr BARAGLI, L’Inter Mirifica, Roma 1969, 95, 126, 406, 438, 597 e 598.
Particolarmente concordante l’appello finale di A. Perraudin, arciv. di Kabgayi (Ruanda): “Termina con un appello agli altri episcopati, chiedendo loro quell’aiuto senza del quale i vescovi africani nulla possono. Si potrà decidere così l’avvenire dell’Africa, purché non si facciano plani quinquennali, ma si proceda subito, come l’urgente necessità richiede” (p. 598).

8 Va rilevata una sua impresa esemplare: “Nel Ceylon, da qualche anno, il governo moltiplica gli ostacoli alla stampa non governativa. Una maniera di ridurre in fin di vita la stampa cattolica è negarle il permesso di importare la carta. Ad un S.O.S. dell’arcivescovo di Colombo, l’I.P.M. provvede. Dato che la carta puo essere ricevuta in dono dai giornali cattolici, del ‘dono’ viene incaricato un fornitore della lontana Finlandia, e l’Istituto ne paga la fattura con un milione di vecchi franchi” (p. 242).

9 E precisamente alle diocesi del Gabon (Libreville), Alto Volta (Uagadugu), Niger (Niamey), Camerun (Yaundé), Dahomey (Uidak), Togo (Lomé), Africa Centrale (Bangui), Senegal (Dakar), Mali (Bamako), Guinea (Conakry), Tchad (Fort-Lamy), Costa d’Avorio (Abidjan), e Congo (Brazzaville).

10 Tra le altre iniziative segnalo quella delle Oeuvres Catholiques de France che da una dozzina di anni s’incarica, tra le altre, di tre riviste per l’infanzia negra: Kisito per l’Uganda, Ibalita per il Madagascar e Guetali per La Réunion (p. 81).

11 Nel 5º Congresso mondiale (Vienna. sett.-ott. 1957) si era limitata ad esprimere il voto “che tutti i membri dell’UIPC sostenessero energicamente le attività dell’I.P.M.” (p. 236).

12 Inter Mirifica, nn. 17 e 13.

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Articolo estratto dal volume II del 1971 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Il volume è del 19681; ma l’argomento che tratta perdura tanto vitale ed urgente quanto, almeno tra noi italiani, ignorato. Merita perciò una presentazione, anche se alcuni dati non vi sono aggiornati, se la redazione qua e là è lacunosa e non propriamente sistematica, e se è carente della desiderata bibliografia. Del resto, salvo sviste, è l’unica opera di peso esistente in materia. Eccone le grandi linee.

A modo d’introduzione e d’inquadramento, l’A. presenta l’invenzione della stampa e tratta della sua diffusione e del suo uso in funzione di evangelizzazione nei paesi di missione, secondo le grandi regioni geografiche. Seguono le due parti.

Nella prima – Sviluppo e vicende della stampa cattolica nel Terzo Mondo – si precisano la natura e le diversificazioni per categorie della stampa cattolica, anche libraria, ma specialmente d’informazione; se ne rilevano le difficoltà, così quelle comuni a tutta la stampa come quelle proprie (linguistiche2, materiali e politiche); se ne forniscono i titoli e i dati statistici: ampiamente per l’Africa e per il settore asiatico-indonesiano e dell’Oceania, sommariamente per l’America Latina. Nella seconda parte – Istituzioni al servizio della stampa cattolica nel Terzo Mondo – si elencano le famiglie religiose a vocazione o con attività editoriale, e le relative grandi tipografie. Ampi capitoli a parte vengono riservati a l’Institut de Presse Missionnaire (I.P.M.) di Parigi – al quale appartengono Autore ed editrice di questo volume –, e all’olandese Instituut van de Missiepers: che hanno in comune l’assistenza alle missioni in questo settore3. Finalmente, ad una panoramica sulle agenzie di stampa e sulle scuole di giornalismo, e ad un capitolo di carattere tecnico (L’equipaggiamento moderno di una tipografia) vengono dedicati gli ultimi capitoli. Segue una Conclusione, nella quale l’A. dimostra che la stampa resta ancora uno strumento insostituibile di cultura e di apostolato anche nell’epoca dei mass media, in paesi che passano di colpo dalla pista della brousse alla telescrivente, dalla piroga all’aereo, dal tam tam alla televisione.

Tocca ai giornalisti cattolici

Sorvolando su altre considerazioni dell’A., noto che il piano generale del volume poggia su due punti. Primo: che ai paesi del Terzo Mondo la stampa, come del resto gli altri mass media, è necessaria come, e forse più, del pane; secondo: che tocca specialmente ai giornalisti dei paesi ricchi – Europa ed America –, come quelli che più dovrebbero conoscere dal di dentro le funzioni insostituibili della stampa quale strumento di cultura e apostolato, interessarsi alla questione e concorrere a risolverla.

Specialmente circa il primo punto, rileggiamoci quanto il padre Emilio Gabel – vero martire della causa4 – dichiarava al 7º Congresso dell’U.C.I.P. (New York, maggio 1965), congresso nel quale, come vedremo, i giornalisti cattolici di tutto il mondo fissarono il loro decisivo impegno programmatico in materia.

“Ritengo che noi, con le nostre informazioni ed i nostri appelli, sosteniamo molte imprese, quali i collegi, gli ospedali, costruzioni di chiese e di seminari; ma che c’è una solidarietà alla quale non penserà nessuno se non ci pensiamo noi. È la solidarietà della stampa cattolica dei paesi ricchi verso la stampa dei paesi in via di sviluppo. E che qualche volta occorre molto coraggio ed abilità per essere fedeli a questa solidarietà primaria.
Quando cerchiamo di sostenere e di sviluppare la stampa cattolica in quei paesi, noi pensiamo al giornale non soltanto come ad uno strumento per trasmettere il messaggio evangelico, bensì come a fattore primordiale del loro sviluppo armonico e globale su piano economico, sociale, politico, culturale... Tutto si tiene in un blocco, sicché non possiamo augurarci che queste nuove nazioni eliminino le cause della fame, delle malattie e dell’ignoranza senza dotarle di tutte le infrastrutture, indispensabili ed efficaci nel nostro mondo d’oggi. Ora l’esperienza prova che un paese sotto-informato resta un paese sotto-sviluppato. E prova pure che, mancando la consapevolezza di una solidarietà più vasta di quella del clan e della tribù – vale a dire: di una consapevolezza politica nazionale –, manca pure ogni volontà di progresso economico, sociale e perfino culturale” (p. 126).

Ora, di questo pane, quei paesi soffrono, non la penuria, ma, di regola, la fame. E le ragioni sono ovvie. La stampa non è il tam tam, che costa poco come fabbricazione, non richiede impianti e, per l’esercizio, non richiede che il tempo e l’abilità di un uomo, magari specialista, ma non di squadre di professionisti. Ma se la stampa costa molto, per esempio in Africa,

“il potere di acquisto è irrisorio. Specialmente per i rurali il giornale resta un lusso. D’altra parte i costi delle edizioni sono altissimi, a cominciare dalla carta, che, importata dall’Europa e dall’America, spesso viene a costare, sul posto, tre volte il costo di partenza. Rari sono gli abbonati, e praticamente nulla è la vendita al numero. Vero è che ogni esemplare viene letto da molti. Secondo un sondaggio del 1964, un settimanale africano, dal 56% degli acquirenti veniva fatto leggere a 5 persone, dal 12% a 4 persone, dal 20% almeno a 3. In media, ogni numero di settimanale veniva letto da una decina di lettori, circolando tra essi fino a quando macchie, strappi e postille di commento non lo rendevano illeggibile. Certo, è consolante; meno però che per la cassa del periodico, che non vede arrivare nuovi abbonanti” (p. 104).

Di qui l’ecatombe delle testate che, nonostante tutto, i pochi e poveri cattolici locali perseverantemente lanciano. Tanto per restare in Africa, nel solo Dahomey, in meno di mezzo secolo, su quaranta testate locali sono sopravvissute soltanto due (p. 125)5.

Occorre, dunque, che i cattolici di Europa e di America provvedano carta, macchine e giornalisti, formandoli in loco e all’estero6.

Quel che fanno altri

Della posta che è in gioco si sono ben resi conto altri non cattolici. Nel volume la documentazione abbonda. Delibiamo qua e là.

Rilevantissimo, come in altri mass media, l’impegno dei protestanti. Valga, per esempio, quello (p. 91) dell’americana E.L.O. (=Evangelica Literature Overseas), di Wheaton (Illinois). Ecco alcune cifre: 250 mila pubblicazioni vendute in due mesi del 1959 in Brasile. In Nigeria: 27 librerie vendono 15 milioni di pagine l’anno. In Etiopia: 750 mila pagine. In Giappone (1957): 11 milioni di opuscoli, 30 milioni di libri o periodici, in 43 librerie. A Hong-Kong: 8 milioni di libri, riviste e opuscoli, in 10 lingue; 720 mila manifesti di Natale; 22 missionari, e 14 del posto, portano avanti il lavoro in 9 librerie. Nel Congo-Kinshasa: 5 riviste – in francese, tshiluba, lingala, kikongo, kiswahili – con mezzo milione di esemplari.

Ancora nel Congo-Kinshasa abbiamo il Tract of the Month Club, che distribuisce 30 mila opuscoli al mese. Nel Viet Nam la Saigon Gospel Press distribuisce, nel 1958, 100 mila opuscoli e 14 milioni di pagine. Per conto loro i Testimoni di Geova smaltiscono nel 1957 ben 49 milioni di esemplari del Watchtower, 30 milioni dell’Awake e 17 milioni di altre pubblicazioni. Anche l’Islam si è mosso in questa direzione; si parla, anzi, di una vera e propria offensiva. Per fare un esempio: nel Sudan ex inglese, il quotidiano arabo Al Sudan al Gadid nel 1962, in un articolo intitolato “Una rivoluzione nell’insegnamento della religione islamaica” annunciava che il governo stava per iniziare, tramite la stampa, una campagna di penetrazione islamica nel Paese, destinandovi per il primo anno circa un miliardo di lire. Il che, tra l’altro, spiega, la susseguente triste situazione della Chiesa cattolica in quel Paese, fulcro tra il Mediterraneo e l’Africa Centrale e Orientale.

Ben a ragione l’A., riferendosi anche agli audiovisivi, rileva ed ammonisce:

“In Africa i feticisti, gli animisti ed i pagani, tra due o tre anni, saranno nella quasi necessità di scegliere tra l’Islam e il cristianesimo. Infatti, restare pagani è considerato passare per retrogradi, mentre il progresso umano e religioso viene visto in queste due grandi religioni, che essi vedono vivere sotto i loro occhi. Ora ci si chiede chi, tra il Corano e il Vangelo, arriverà primo a salvare queste anime di buona volontà, le quali nella brousse sono legioni. È in queste masse, per il 92% rurali, che si deciderà l’avvenire religioso dell’Africa... Gli anni 1966-’70 sono quelli nei quali, mediante i sussidi audiovisivi, si può far giungere la luce della fede e del battesimo ai milioni di broussard che il clero, nella sua estrema penuria, non può raggiungere. Molti di essi passano i 60, i 70, gli 80 e più anni: ed attendono la buona novella...” (p. 311)7.

Forse anche più temibile il massiccio e ben provvisto impegno dei marxisti. Due soli esempi (pp. 107 e 83).

Nel 1961 la Germania di Pankow e l’URSS impiantano a Conakry, in Guinea, la potente tipografia Patrice Lumumba, dotata di macchine ultra moderne, capace d’inondare tutta l’Africa francofona; ed un’altra tipografia delle stesse dimensioni era in progetto per Accra, capitale del Ghana. Per parte sua, l’URSS ha dotato di mezzo milione di dollari la fondazione Union Africaine de Presse, con sede a Conacry.

Passiamo all’Estremo Oriente: alle porte della “cortina di bambù”, 300 milioni di ragazzi in età scolare attendono una stampa per loro. Per il 90% vivono in ambiente pagano, bersagliati dalla stampa atea. Ma a Djakarta (Indonesia), su 64 pubblicazioni cinesi, 34 sono d’ispirazione comunista, e non una è d’ispirazione cristiana.

Che cosa fanno i (giornalisti) cattolici

Ma anche i cattolici, grazie a Dio, si muovono. Nel volume, la documentazione non scarseggia. Anche qui, perciò, spigoliamo.

A prescindere dall’associazione internazionale U.C.I.P. (di cui sotto), il posto d’onore spetta, ovviamente, al francese Institut de Presse Missionnaire ed all’olandese Instituut van de Missiepers, sopra ricordati. Il primo, in dieci anni (1950-1960), ha raccolto ben 85 milioni di vecchi franchi, e ne ha distribuito 65 in sovvenzioni-stampa8. Oltre tutto, poi, non appena approvato l’Inter Mirifica – eccellente monito a quanti più si sono applicati a demolire quel Decreto, che ad applicarlo – “si è sentito obbligato di chiedersi se, senza rinnegare la sua tradizione [che lo impegnava soltanto nella stampa], non fosse il caso, sotto la spinta universalistica del Concilio, di estendere il suo interesse a tutti gli strumenti della comunicazione sociale” (p. 308); e, passando subito ai fatti, ha messo a punto il progetto di provvedere all’episcopato africano quindici “posti-pilota” radio, dal costo di circa 500 mila lire l’uno9. Notizia consolante: sulla fine del 1965 il progetto era quasi del tutto realizzato, grazie a circa 800 milioni di lire raccolti tra 700 offerenti. Bravi i cattolici francesi10!

Ma gli olandesi non sono da meno. Dell’Istituut van de Missiepers basti ricordare che nel 1960, con una lotteria, riuscì a raccogliere 300 mila fiorini per la stampa africana, i quali, in forma di rotative, veleggiarono subito verso il Tanganyika, il Nyassa e la Nigeria. L’anno seguente fu la volta di tipografi, tecnici e pubblicisti inviati in Uganda, Kenya, Rodhesia del Nord, Kerala e Indonesia. Nel 1964, 40 mila fiorini vanno a Cape Coast, più di 600 mila al Camerun, 10 mila a tre stamperie dell’Africa Orientale; macchine e carta vanno a Brazzaville (p. 252). Per parte loro, venti periodici cattolici olandesi si sono impegnati – ed hanno mantenuto l’impegno! – di illuminare e sensibilizzare i loro lettori sulle necessità della stampa missionaria.

Merito precipuo dell’Union Catholique Internationale de la Presse (= U.C.I.P.) è stato quello di aver interessato al problema, nei suoi due Congressi, tutta la stampa cattolica europea ed americana11. Ecco la mozione del 6º Congresso mondiale di Santander (luglio 1960):

“Per rispondere ai desideri del Papa, l’U.C.l.P. decide di fornire l’aiuto tecnico ai paesi in via di sviluppo ed ai paesi di missione.
“Per procurare all’Associazione i mezzi finanziari necessari, gli editori ed i direttori dei giornali s’impegnano, ciascuno per le proprie competenze, ad indire ogni anno una raccolta tra i lettori.
“Parimente, i direttori dei giornali provvederanno alla formazione professionale di giornalisti cattolici provenienti dai paesi di missione o in via di sviluppo, sia mediante scambi di personale ammesso alla pratica giornalistica, sia mediante borse destinate a scuole di giornalismo” (p. 260).

Gli effetti non tardarono a farsi vedere. Per citare alcune prestazioni generose: dalla Germania M. Hagemeier, presidente della Arbeitsgemeinschaft Kirchliche Presse invia uno chèque di 35 mila marchi al Meridiano di Quito (Ecuador); M. Franz Wegner, direttore del Fränkische Gesellschaftsdrukerei Etcher Verlag, di Würzburg, offre una macchina piana Rollnner a Tanararive (Madagascar). Il Kirchen Zeitung, di Aquisgrana, offre a Giovanni XXIII, per la Semaine Africaine (Brazzaville) una macchina piana Heidelberg. Francia, Spagna e Svizzera lanciano sottoscrizioni tra i loro lettori; la sola Croix (Parigi) raccoglie 74 mila Fr., e ne distribuisce 52.500 tra sei giornali dell’Africa, uno dell’India e uno della Grecia, e ad una scuola di giornalismo, riservandone 18 mila a borse per praticanti. Finalmente, nel 1963 l’Adveniat incarica il padre Gabel, segretario dell’U.C.I.P., di studiare un piano di sviluppo circa i mass media nell’America Latina.

Esempio pratico che va segnalato a parte: Ruhrwort, settimanale diocesano di Essen, aumenta di 10 Pfennig l’abbonamento mensile per aiutare i paesi di missione. Dopo un anno, l’operazione lanciata come ner Groschen macht’s (= “Ci pensa il soldo!”), frutta 102 mila marchi, che vanno a finanziare cinque progetti: 25 mila marchi al giornale Ndongozi (Burundi), 40 mila all’agenzia Catholic News of India, 25 mila al giornale Hiduh Katolik (Indonesia), 10 mila per 4 borse di studio in favore di giovani giornalisti indiani al Bishop College di Nagpur; 2 mila al periodico Kehilwenyame dell’Africa del Sud (p. 265).

Vasti programmi di studio vengono messi a punto anche negli U.S.A. e nel Canada dalla Catholic Press Association, e già nel 1961 si organizzano 17 corsi di perfezionamento per giornalisti di 24 quotidiani dell’America Latina. Sempre nel 1961, in Olanda, lo stampatore M. Verhaack raccoglie, allo scopo, un milione di fiorini.

Altra benemerenza dell’U.C.I.P., quella del coordinamento, su piano ecclesiale-mondiale, delle varie iniziative cattoliche in materia. Nel suo 7º Congresso mondiale (New York, maggio 1965) essa votava all’unanimità la seguente risoluzione, oggi, grazie a Dio, largamente operativa:

La Chiesa ha bisogno dei mass media. Nell’epoca della comunicazione planetaria, essi sono una via necessaria che porta all’uomo, e missione propria della Chiesa è batterla. Ma se la qualità della sua stampa e della radio è scadente, la Chiesa resta isolata ed il suo Messaggio non può passare all’opinione pubblica. Questo pericolo è paventato da vescovi e da laici di molti paesi...
“Ma gli aiuti agli strumenti di informazione cattolici non possano essere lasciati al caso di relazioni personali o all’improvvisazione: occorre in questo campo una programmazione in prospettiva, efficace per armonizzarli e coordinarli.
“L’U.C.I.P. dispone, nel suo Segretariato permanente, di un eccellente centro di coordinamento, capace di fornire informazioni, consigli, esperti e volontari a tutte le iniziative di aiuto. Perciò domandiamo al Congresso ed ai vescovi di tutto il mondo di servirsi di questo Segretariato parigino come centro d’incontro e di coordinamento” (p. 265).

E noi (giornalisti) italiani?

Chiudendo il volume, due considerazioni non proprio confortanti ci accompagnano.

La prima riguarda la sproporzione tra i bisogni della stampa cattolica nel Terzo Mondo, e gli aiuti dei paesi ricchi; tra quello che altri fanno, e quello che fanno i cattolici; tra la tempestività loro, e la lentezza con la quale – fatte le debite eccezioni – ci moviamo noi. Ricordiamo la disarmata domanda di Filippo a Gesù avanti ai cinquemila affamati: “Dove compreremo il pane per sfamare tanta gente?”; e lo smarrito rilievo di Andrea: “Cinque pani d’orzo e due pesci che sono per tanta gente?” (Gv 6,7-10). E viene fatto di auspicare che il Signore compia, oggi, col concorso di buone volontà, il miracolo di allora. Insomma, che i figli della Chiesa – come vuole il Concilio – “non tollerino che la parola della salvezza resti inceppata ed impedita da difficoltà tecniche e dalle spese, certo ingentissime, che i mass media richiedono”, ma che “tutti, in unità di intenti e di azione, si sforzino perché questi, senza alcun indugio..., vengano efficacemente adoperati..., prevenendo le iniziative nocive, specialmente in quei paesi dove lo sviluppo morale e religioso richiede più urgentemente la loro attiva presenza”12.

L’altra considerazione riguarda noi (giornalisti) cattolici italiani. Salvo sviste, il volume ci ignora, almeno riguardo al tempo presente. Silenzio, forse, non del tutto giustificato, ma in contrasto con i bei nomi di italiani che, in passato, furono pionieri ardimentosi nel campo dell’editoria-evangelizzazione. Va bene che noi non disponiamo dei mezzi economici dei (giornalisti) francesi, olandesi, americani, e soprattutto tedeschi, ma, la nostra assenza forse dipende anche dal nostro scarso apprezzamento per la stampa (e per gli altri mass media) come pane per sfamare la fame di cultura e di Vangelo del Terzo Mondo. A suo tempo ci siamo mossi – e come generosamente! e come prontamente! – per sfamare gli affamati di pane dell’India e del Pakistan, ma in questo settore tardiamo a commuoverci, prima che a muoverci.

Quanto sarebbe bello se anche giornali e periodici cattolici italiani, prendessero a carico, magari parziale, qualche testata cattolica del Terzo Mondo!

— Si tratta, in fondo, di praticare in termini moderni, di mass media, le opere di misericordia, che realizzano l’amore di Dio nella prassi dell’amore del prossimo. Di rileggere il Vangelo in termini moderni, di mass media: “Ebbi fame di cultura, e mi sfamaste; ebbi sete d’informazione, e mi dissetaste; ero segregato nell’ignoranza, e mi accoglieste; ero malato, e mi portaste l’Annuncio della salute”.

1 ROBERT PRÉLOT, La presse catholique dans le Tiers Monde, Paris, Ed. Saint-Paul, 1968, 320. Fr. 27.

2 Nota l’A.: “La stampa in vernacolo incontra particolari difficoltà nelle tirature. Infatti le lingue sono legioni e, con tanti gruppi etnici differenti, è difficile reperire il pubblico sufficiente per un giornale stampato nella lingua della maggioranza del Paese. Pare che le lingue vernacolari, nella sola Africa, superino il migliaio, e che quelle dell’Africa francofona si contino tra le due e trecento. È anche più arduo contare le lingue in Asia, dove si raccoglie più della metà della popolazione del globo. Basti ricordare che la Costituzione dell’India riconosce 14 lingue principali, e se l’inglese totalizza, su 330 quotidiani, 697 mila lettori, nove lingue del Paese ne totalizzano insieme molto meno di due milioni (p. 80). Cfr anche pp. 99 ss., dove, tra l’altro, si nota che in Birmania, nelle montagne dell’Ovest, tra 300 mila cinesi si parlano ben 45 lingue, praticamente una per ogni villaggio.

3 Nel marzo 1965, per migliorare li servizio alle missioni nel mondo, le due istituzioni hanno firmato un accordo di spartizione geografica, secondo il quale all’Instituut van de Missiepers restano affidate l’America (del Nord e del Sud), ed i territori africani di lingua inglese; mentre all’Institut de Presse Missionnaire resta affidato il resto del mondo e l’Oceania, fatta eccezione per Manila nelle Filippine, dove il governo olandese continuerà a sovvenzionare i missionari originari dell’Olanda.

4 Il padre Emilio Gabel, come segretario dell’U.C.I.P., si era recato in 15 paesi dell’America Latina per mettere in esecuzione il piano di soccorso alla stampa cattolica locale, reso possibile dall’apporto finanziario della tedesca Adveniat. Nella notte tra il 5 e il 6 marzo 1968 trovò la morte in un aereo della linea Bogotà-Parigi, schiantatosi contro una montagna dell’Isola Guadalupe (Antille Francesi).

5 Si legga a 300-301 la storia del Bibliobus, offerto dall’I.P.M. al giornale cattolico Afrique nouvelle, di Dakar, per il Senegal e l’Alto Volta, malinconicamente liquidato per mancanza del danaro occorrente per benzina, autista e riparazioni.

6 Quest’ultimo problema si complica perché i giornalisti, una volta formati e lanciati, facilmente lasciano il giornale per posti di responsabilità politica e religiosa; il che, tutto sommato, non è male, ma non risolve i problemi della stampa. Nota 1: “In Africa un giornalista che si sia fatto le ossa diventa un personaggio influente, e lascia il giornale per altri posti. Una redazione, alla quale si rimproverava di non essere sufficientemente ‘africanizzata’, rispondeva: ‘In tre anni noi abbiamo formato un deputato, un ministro, un amministratore e... un vescovo’” (p. 132).

7 Circa l’urgentissima necessità di mass media in Africa rilevata dai Padri conciliari, cfr BARAGLI, L’Inter Mirifica, Roma 1969, 95, 126, 406, 438, 597 e 598.
Particolarmente concordante l’appello finale di A. Perraudin, arciv. di Kabgayi (Ruanda): “Termina con un appello agli altri episcopati, chiedendo loro quell’aiuto senza del quale i vescovi africani nulla possono. Si potrà decidere così l’avvenire dell’Africa, purché non si facciano plani quinquennali, ma si proceda subito, come l’urgente necessità richiede” (p. 598).

8 Va rilevata una sua impresa esemplare: “Nel Ceylon, da qualche anno, il governo moltiplica gli ostacoli alla stampa non governativa. Una maniera di ridurre in fin di vita la stampa cattolica è negarle il permesso di importare la carta. Ad un S.O.S. dell’arcivescovo di Colombo, l’I.P.M. provvede. Dato che la carta puo essere ricevuta in dono dai giornali cattolici, del ‘dono’ viene incaricato un fornitore della lontana Finlandia, e l’Istituto ne paga la fattura con un milione di vecchi franchi” (p. 242).

9 E precisamente alle diocesi del Gabon (Libreville), Alto Volta (Uagadugu), Niger (Niamey), Camerun (Yaundé), Dahomey (Uidak), Togo (Lomé), Africa Centrale (Bangui), Senegal (Dakar), Mali (Bamako), Guinea (Conakry), Tchad (Fort-Lamy), Costa d’Avorio (Abidjan), e Congo (Brazzaville).

10 Tra le altre iniziative segnalo quella delle Oeuvres Catholiques de France che da una dozzina di anni s’incarica, tra le altre, di tre riviste per l’infanzia negra: Kisito per l’Uganda, Ibalita per il Madagascar e Guetali per La Réunion (p. 81).

11 Nel 5º Congresso mondiale (Vienna. sett.-ott. 1957) si era limitata ad esprimere il voto “che tutti i membri dell’UIPC sostenessero energicamente le attività dell’I.P.M.” (p. 236).

12 Inter Mirifica, nn. 17 e 13.

In argomento

Americalatina

n. 3281, vol. I (1987), pp. 469-473