NOTE
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1 Oltre agli innumerevoli scritti pubblicati per l’occasione in periodici e in giornali, stranamente ricchi, specialmente questi ultimi, di svarioni, abbiamo attinto notizie, prima di tutto nel Cinquantenaire de l’ouverture du tunnel du Simplon, promemoria ciclostilato del Comitato svizzero; poi in Il traforo del Sempione nel cinquantenario, di R. MORTAROTTI (Sodalitas, Domodossola 1956, pp. 64), il migliore lavoro a stampa moderno che ci sia stato dato vedere, documentato ed illustrato, e che porta, tra l’altro, una buona notizia bibliografica sull’argomento; oltre che in molte altre pubblicazioni dei primi di questo secolo, consultate o nella biblioteca dell’Ospizio del Sempione o nella «Sempioniana» del Collegio Mellerio-Rosmini, di Domodossola; tra le quali A. FERRUCCI, Il traforo del Sempione e i passaggi alpini (Milano 1906), e soprattutto il classico A. MALLADRA, Il traforo del Sempione (Milano 1905): pubblicato quando l’opera non era ancora compiuta, il testo ampliato di una sua conferenza, attendibilissimo, essendosi l’autore, già testimonio di veduta, documentato a fonti di prima mano. A lui, tra l’altro, si deve la vasta raccolta di cimeli sulla galleria, esposti appunto nella Sempioniana di Domodossola, unica nel suo grmere. Tra i volumi a stampa ricordiamo anche: G. BONOLA, La ferrovia del Sempione (Roma 1900), al quale attinge lo stesso Malladra.

2 Per essere esatti, il primo treno vi transitò, partendo da Briga, il 25 gennaio. Era un treno simbolico, composto da una locomotiva, dal bagagliaio e da tre vetture, rispettivamente di I, II e III classe.

3 S’intende, come si dirà più avanti, a un binario; perché la più lunga del mondo a due binari è la Bologna-Firenze, di Km. 18,507.

4 Precisamente, quella Est, entrata in esercizio nel 1906, è lunga 19,803; quella Ovest, entrata in esercizio nel 1921, è lunga Km. 19,826.

5 Cioè: il rettifilo, lungo Km. 19,330, per ragioni di raccordo con le vie di accesso dell’Ossola e del Vallese, termina con due curve: una di 400 m. di raggio e lunga 314, verso Iselle, l’altra di 320 m. di raggio e lunga 159 m. verso Briga.

6 Per il Gottardo, lungo cinque chilometri di meno, le differenze furono: in planimetria: cm. 33, in altimetria: cm. 5. Un evidente refuso tipografico ha fatto dire e 87 centimetri di livello, invece di 8,7, prima all’Enciclopedia Treccani e poi al ministro Angelini, nel suo Discorso commemorativo nel cinquantenario del Traforo del Sempione (Roma 1956, p. 10).

7 Cfr L. DEVOTO, Gli studi degli italiani sull’Anchilostomiasi e il traforo del Gottardo, in La Medicina del lavoro, giugno 1932; G. VOLANTE, L’igiene del minatore, Domodossola 1904.

8 La Compagnia del Jura-Simplon, a stipulazione del contratto di lavoro, accettava come base il profilo geologico ufficiale del prof. H. Schardt, che poi si rivelò in gran parte non corrispondente a verità; sicché si può dire che due furono gli sconfitti nell’impresa del Sempione: la montagna e la geologia del tempo, al dire dello Stoppani, ancora bambina. Nota competentemente il MALLADRA: «Interessantissima è la storia geologica del Traforo del Sempione: nessuno dei precedenti trafori alpini diede luogo a tante discussioni, a tante previsioni, cosi diverse l’una dall’altra, e dalla realtà manifestatasi nello scavo della galleria» (op. cit., pp. 47-48); e T. TARAMELLI di rincalzo: «Il traforo del Sempione fu una débacle per la geologia!» (ivi, p. 54).

9 Cioè: 22 nel versante di Briga, 20 su quella di Iselle e 16 per la galleria elicoidale di Varzo, tutti italiani. Altri li portano a 67, di cui 30 per infortunio sul lavoro e 37 per malattia.

10 Ciononostante, il traffico automobilistico sul Passo è molto forte, e va intensificandosi sempre più, avendo largamente superato in questi ultimi anni i 100.000 veicoli; ed andrà ancor più aumentando quando saranno terminati i radicali miglioramenti della strada in corso di esecuzione.

11 Nel 1898 benedissero l’inizio dei lavori, dalla parte italiana, il vescovo di Novara e dalla parte svizzera il vescovo di Sion, e il 2 aprile 1905, al centro della galleria, ne benedissero l’inaugurazione; cosa, per i tempi che correvano, nuova e «sommamente degna di encomio», come notava il cardinale di Milano indirizzando, nello stesso anno, la parola ai sovrani d’Italia. Cfr Civ. Catt. 1906, II, 490, a completamento della prima Fiera internazionale di Milano, tempestivamente descritta dal nostro periodico. Grazie a Dio, in un clima rinnovato di fede e di governo politico, le celebrazioni cinquantenarie hanno avuto uno spiccato carattere religioso, oltre che per le funzioni in suffragio dei caduti, nelle cerimonie celebrate a Domodossola dal vescovo di Novara, mons. Gilla Gremigni, culminate nella sua allocuzione ai due Capi di Stato e nella lettura del seguente autografo del S. Padre: Siamo spiritualmente presenti alla celebrazione che ricorda l’ardimento della scienza, della tecnica e della volontà umana, che col traforo del Sempione aprì una nuova importante via di comunicazione fra due grandi popoli. Augurando che la pacifica vittoria, oggi solennemente commemorata, sia stimolo di concorde azione a sempre più gloriose conquiste, invochiamo su le Autorità e i cittadini dell’una e dell’altra diletta Nazione i conforti della grazia divina e a tutti impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione. Dal Vaticano, 18 maggio 1956. PIUS PP. XII. – Per l’assistenza religiosa durante i lavori del Sempione cfr, dello stesso mons. GILLA GREMIGNI, Il traforo del Sempione e la diocesi di Novara, Novara 1956.

12 Cfr L. PELLANDA, L’Ossola nella tempesta, 2ª ed. Novara 1955, p. 12 ss.

13 Mentre il quaderno va in stampa riceviamo la pregevole pubblicazione di L. IANNATTONI – L. MAGLIETTA, Il cinquantenario del traforo del Sempione, Roma, Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, pp. 34.

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Articolo estratto dal volume III del 1956 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Le celebrazioni italo svizzere per il cinquantenario della galleria del Sempione, apertesi con gli incontri dei presidenti Giovanni Gronchi e Markus Feldmann, il 17 maggio a Milano e il 18 a Domodossola, Briga e Losanna, e tuttora in atto, richiamano l’attenzione, specialmente degli italiani, su di un’impresa, che per ardimenti tecnici, sacrifici che richiese e benefici che apportò, resta ancora tra quelle che più onorano il secolo, agli albori del quale si compì1.

Scienza e tecnica

La sua storia comincia esattamente cent’anni fa, nel 1857, quando il Piemonte dava la prima concessione per una «ferrovia da Arona sul Lago Maggiore a Domodossola o Crevola, e l’eventuale suo prolungamento sino al congiungersi con la strada ferrata svizzera della valle del Rodano, per mezzo di una tranvia lungo la strada napoleonica, o di un traforo». Il progetto per allora non si attuò; né ebbero miglior sorte gli altri che lo seguirono durante cinque decenni, i quali tuttavia servirono a far conoscere il problema alle nazioni interessate e a farne desiderare la soluzione.

Intanto il piccolo Piemonte, quasi per allenarsi alla più grande impresa, arditamente saggiava le sue possibilità tecniche iniziando il traforo del Cenisio, portato a termine dall’Italia nel dicembre del 1870. Nel 1872 entrava in gara di ardimento la Svizzera, col più impegnativo Gottardo, aperto al traffico nel 1882; e nel 1884 l’Austria, con l’Arlberg. La volta del Sempione si avvicinava; ma questo, per la necessità di conciliare esigenze tecniche, economiche e politiche divergenti, si mostrava molto più arduo delle imprese fin allora compiute. Ventisei furono i progetti escogitati, studiati ed accantonati, finché un ventisettesimo, elaborato dagli ingg. Dumur e Sulzer per la Compagnie des Chemins de fer Jura-Simplon, fu approvato per l’esecuzione il 19 luglio 1894; ma solo nel 1898, ratificato l’apposito Trattato di Berna tra la Svizzera e l’Italia, le perforatrici potevano essere puntate contro la roccia: il 1º agosto all’attacco nord, presso Briga, e il 16 all’attacco sud, presso Iselle. Il 24 febbraio 1905 i due fronti s’incontrarono al chilometro 10,376 dall’imbocco nord. Nel 1906, terminato l’armamento della galleria, il 19 maggio i primi due treni inaugurali, che portavano il giovane Vittorio Emanuele III in Svizzera e il presidente Louis Forrer in Italia, l’attraversavano, e il 1º giugno vi penetrava il primo treno viaggiatori, inaugurando così il servizio pubblico2. Se la sua lunghezza, che gli fa detenere il record ancora imbattuto tra tutti i tunnel del mondo3, rende il Sempione noto anche agli scolaretti delle elementari, occorrono più minuti dati tecnici per darne un’idea meno approssimativa.

Intanto esso è il più basso per altimetria tra i trafori alpini, non superando la quota di 704 metri sul punto d’innesto delle due livellette, contro i 1.154 del Gottardo, i 1.294 del Cenisio e i 1.310 dell’Arlberg. Fu appunto la sua modesta altimetria, voluta per ridurre il più possibile la pendenza delle vie di accesso e così assicurare massima facilità e velocità ai convogli, a portare la sua lunghezza a quasi venti chilometri4; il che però complicò considerevolmente le operazioni geodetiche per individuare i due punti d’imbocco e per tracciare l’asse della galleria, tanto più che questo, sia pure in piccola parte, risultò mistilineo5, e tale che da nessuna altezza di monti circostanti – particolare che si era verificato già per il Gottardo – se ne potevano vedere contemporaneamente i punti di partenza; eppure, perfezione di strumenti e rigorosità di calcoli fecero sì che l’incontro dei due assi di avanzata, avvenuto a una decina di chilometri dagli imbocchi, segnasse scarti tanto piccoli, che oggi ancora hanno del prodigioso: 20,2 cm. di spostamento laterale e appena 8,7 cm. sul livello, con 79 cm. di lunghezza in più del calcolato6.

Un altro record il Sempione lo batté nella durata della perforazione, portata a termine in appena sei anni e mezzo, alla media di quasi 8,50 metri al giorno, contro i sei anni richiesti al Gottardo, lungo circa quindici chilometri, con la media di meno di sette metri al giorno, e contro i quattordici del Cenisio, lungo Km. 13,600, con meno di tre metri di media. Evidentemente i progressi chimici e tecnici raggiunti nel frattempo davano i loro risultati: specialmente la dinamite al posto della polvere nera, usata ancora al Cenisio, e la perforatrice ad acqua compressa e a rotazione di Brandt, invece di quella ad aria compressa e a percussione usata ancora nel Gottardo.

Infine un terzo trionfo lo segnò nelle previdenze igieniche adottate. Al Gottardo l’anchilostomiasi aveva fatto strage dei minatori, colpendone diecimila ed uccidendone duecento; scoperto già l’anchilostoma da Angelo Dubini e Giacomo Sangallo nel 1838 e nel 1850, durante e dopo lo scavo del Gottardo altri italiani, quali il Concato, il Perroncito, il Bozzolo e il Graziadei, ne avevano fissato l’etiopatogenesi, la diagnosi, la terapia e soprattutto la profilassi, sicché al Sempione, introdotto l’uso razionale degli stivaloni e delle latrine, assicurato il drenaggio delle acque e il ricambio dell’aria sul fronte del lavoro, non si ebbe un solo caso di anchilostomiasi tra i 25.000 operai succedutisi nei lavori7. E proprio questa preoccupazione umanitaria, che altamente onora gli ingegneri svizzeri e italiani, fu il principale motivo che fece adottare l’originalissimo sistema di lavoro del progetto Dumur-Sulzer, seguendo il quale, non si scavò un’unica galleria a due binari, come per il Cenisio e il Gottardo, bensì due: la prima a sezione ovoide 5,50 x 4,40 per un binario, l’altra a sezione 3,20 x 2,50, parallela e distante dalla prima 17 metri, e collegata ad essa mediante gallerie trasversali ogni duecento metri. Questa galleria secondaria servì per il trasporto dei materiali, per l’invio dell’acqua compressa alle perforatrici e per il deflusso delle acque sorgive e di lavorazione, ma soprattutto per soffiare abbondante aria pura e fresca sui fronti di attacco sì da diminuirvi la temperatura e l’umidità. In seguito, assolti sodisfacentemente questi compiti, fu portata a sezione normale, ed aperta al traffico nel dicembre del 1921.

Uomini contro rocce

Ma non ci furono precauzioni né previdenze capaci di rendere agevole il lavoro ciclopico. Ancora oggi, che le trivelle, con assaggi diretti fino a chilometri di profondità, permettono di completare e coordinare deduzioni geologiche già attendibilissime, scavare un tunnel a grande profondità rimane opera piena d’incognite e sorprese: figurarsi cinquant’anni fa quando le condizioni geognostiche del terreno da attraversare erano quasi esclusivamente dedotte su ipotesi geologiche variamente attendibili8.

Gli ardimentosi che attaccarono le montagne non si fecero illusioni, e la montagna da parte sua si difese con tutti i mezzi: e prima di tutti col calore. Il grande Arago aveva fissato il gradiente geotermico in circa un grado centigrado per ogni trenta metri di profondità; ma le osservazioni fatte durante le perforazioni del Cenisio e del Gottardo avevano corretto i trenta metri previsti nei cinquantadue di fatto controllati; secondo questi dati le previsioni davano per il Sempione non più di 44 centigradi. vale a dire, quattordici più di quanto ordinariamente gli operai ne sopportano in ambiente carico di umidità. Orbene, la temperatura raggiunse i 57° nell’attacco svizzero e i 46° su quello italiano, ed a stento si riuscì a ridurla proiettando sulle rocce e nell’aria, immessa dai ventilatori, acqua polverizzata sotto pressioni che andavano dalle dieci alle venticinque atmosfere! Per molti mesi la temperatura ambiente nel luogo di lavoro non si abbassò sotto i 34°.

Anche le acque sorgive, immancabili in trafori di una certa profondità, non si fecero attendere a lungo. Se il lato svizzero abbondò nel numero delle sorgenti – 142, contro le 85 del lato italiano – questo lo sorpassò per la portata, in particolare verso il quarto chilometro, dove una bocca larga due metri scaricò nella galleria qualcosa come un metro cubo al secondo. Più di una volta si dovettero sospendere i lavori per incanalare o imbrigliare le acque – fino a centoventi milioni di litri al giorno! – sì che non distruggessero il lavoro già compiuto e permettessero la ripresa dell’avanzata. Il peggio fu quando acqua e calore si allearono in sorgenti di acqua calda fino a 50°, trasformando la galleria in un forno a vapore: fu appunto una di queste ad arrestare definitivamente i lavori dal lato svizzero, sbarrato con robuste porte all’inondazione, sicché dal 18 maggio 1904 l’attacco continuò solo dal lato italiano.

Ma gli ostacoli maggiori, tali che a un certo momento apparvero insuperabili sì da compromettere la riuscita della impresa, vennero soprattutto dalla natura della roccia, ora così dura da smussare gli scalpelli e da piegare i picconi, ora così sfatta da gravare con pressioni di centinaia di atmosfere. Sotto l’enorme pressione i distacchi di schegge penetravano nella carne con la rabbiosa violenza di pallottole da fucile, travi di rovere a sezione 40x40 cedevano e si schiantavano come stecchini; robuste putrelle di ferro si flettevano come fossero di stagno; tratti di 40 metri di muro già costruito si spostavano di colpo per 20 cm.; allora fu necessario ricorrere a un centinaio di riquadri di acciaio formati da putrelloni alti mezzo metro, distanziati dai quaranta ai venti centimetri e collegati con profonde gettate di calcestruzzo, così che quattro mesi furono necessari per superare un tratto di 42 metri, con avanzata di non più di 35 centimetri al giorno, e diciotto mesi occorsero per sostituire quella specie di tubo blindato col definitivo rivestimento in pietre lavorate (scapoli e bolognini), nel quale si raggiunsero spessori spropositati: fino a m. 1,67 in calotta, metri due nei piedritti e m. 2,50 nell’arco rovescio!

Pareva che alla trista rassegna dovesse mancare il classico e il più temibile pericolo delle gallerie profonde: il gas; purtroppo, invece, anch’esso fece la sua apparizione, e proprio all’ultimo momento, a funestare vendicativamente la caduta dell’ultimo diaframma. Non bastava che l’interruzione dei lavori dalla parte svizzera avesse impedito l’incontro gioioso delle due squadre, che al Cenisio e al Gottardo aveva gettato nella braccia uno dell’altro, frenetici di gioia, gli operai vittoriosi; ci voleva la tragedia! Quando alle 7,20 del 24 febbraio 1905 dieci esplosioni mandarono in schegge i cinque metri di roccia che ancora restavano, l’enorme massa di acqua e di gas, che per la contropendenza dalla parte svizzera vi si era accumulata, precipitò tutta assieme verso il lato italiano, innalzando di colpo la temperatura in tutto il percorso e rendendo l’aria irrespirabile. Tra le personalità accorse sul luogo a rendersi conto del grande evento, l’ing. Bianco e il sig. Grassi rimanevano uccisi dal veleno e dal calore, come se mancassero solo loro ad accompagnare il funebre drappello di 58 operai caduti sul posto del lavoro9.

I nostri benefattori

A cinquant’anni di distanza dal suo compimento, ci possiamo domandare se veramente l’impresa valesse la spesa di tanti rischi e di tanti sacrifici, ma per rispondere immediatamente che sì. Basta pensare che le comunicazioni tra l’Italia e la Svizzera, e, per essa, tra il bacino mediterraneo e tutta l’Europa del nord sono enormemente migliorate e raccorciate. La distanza tra Losanna e il Mediterraneo è diminuita di circa 150 Km., sicché Genova è diventata il porto della Svizzera; per il Sempione passa dal 1919 il Simplon-Orient-Express facendo la via più breve tra Londra e Parigi e il vicino oriente, con un vantaggio di 104 chilometri rispetto al percorso di Modane. Con le distanze sono diminuiti i tempi. Per il Sempione, da Losanna si può raggiungere Milano in cinque ore, e Roma in dieci; da Milano: Parigi in undici ore e un quarto, compresi i sessanta minuti necessari per le formalità delle due frontiere; e contro le dieci ore che occorrevano alla diligenza, smobilitata il 31 maggio 1906, per percorrere la strada napoleonica, e le tre ore che ancor oggi ci vogliono a percorrerla in automobile, un rapido se la cava in appena trentacinque minuti!

Tutte le previsioni sul traffico di persone e di cose che avrebbe seguito il compimento della grande impresa sono state nettissimamente superate: se 13.260 furono i viaggiatori trasportati dall’ultimo servizio postale nel 1905, già nel primo anno di esercizio del traforo i previsti 200.000 viaggiatori divennero 300.000; dopo l’inflessione della guerra, nel 1948, essi passavano il mezzo milione e le merci toccavano le 684.000 tonnellate. Nel 1955, una cinquantina di treni, tra viaggiatori e merci, transitavano ogni giorno nel tunnel, toccando velocità tra i 100 e i 125 chilometri orari, trasportando in un anno quasi un milione e mezzo di viaggiatori e altrettanti di tonnellate di merci, e in più circa 15.000 veicoli di viaggiatori, o impossibilitati a percorrere la carrozzabile napoleonica ostruita dalla neve, o perché le preferivano la più veloce e meno rischiosa via del traforo10. Ma soprattutto valeva la pena di tanti sforzi e di tanti sacrifici per creare un’opera che, oltre di commercio e di turismo, è eminentemente di pace.

Per millenni, la costruzione di grandi strade internazionali è stata opera prevalentemente guerresca, dato che solo grandi Stati potevano disporre degli ingenti mezzi in danaro e in mano d’opera occorrenti, e gli unici motivi che li spingevano ad intraprendere quelle imprese tutt’altro che economiche erano quelli della conquista e della difesa dei territori di rapina. Così s’irradiarono anche attraverso le Alpi le strade di Roma, una scavalcando l’Alpis Pennina (Gran San Bernardo) verso il Rodano e la Gallia, l’altra passando per Vipitena (Brennero) verso la Germania e il bacino del Danubio; così pure, ai primi dell’800, un altro ardito tracciatore di strade, ma non romano, vi faceva aprire le tre vie che, in una riconquista a ritroso, dovevano portare altre aquile imperiali dalla Gallia verso l’Italia.

La carrozzabile del Sempione non sfuggì alla regola. Già nel nome essa ha un ricordo di guerra, se è vero che si ricollega a quello del console romano Servilio Cepione, che nel 117 a.C. vi sarebbe passato al comando delle legioni che si recavano contro i Cimbri; ma del tutto guerresca fu concepita nella testa di un altro console, il quale, nel settembre 1800, appena da tre mesi vincitore di Marengo, emanava il decreto con cui «il sentiero da Briga a Domodossola doveva essere reso praticabile per i cannoni»; a puntino eseguito dall’ingegnere Nicola Céard, che il 16 dicembre 1805, portati a termine i lavori, gli poteva scrivere: «Le Alpi non fanno più ostacolo: il Sempione è aperto e attende le artiglierie di Vostra Maestà Imperiale!». E le artiglierie di fatto vi passarono nel 1806.

La costruzione delle ferrovie internazionali invece sembra che sia ispirata piuttosto a pensieri di pace; in ogni modo, certo questo è il caso del Sempione, aperto sulla Svizzera libera e neutrale, in un periodo dei più floridi per l’Italia e l’Europa, quando, nell’euforia di un benessere largamente diffuso e di migliori speranze per il progresso in marcia, pensieri di guerra non turbavano la tranquilla convivenza dei popoli. La sua inaugurazione divenne quasi un simbolo dei tempi nuovi: inneggiando alla pace e al progresso, nel 1906 Milano lo festeggiava aprendo la sua prima Fiera internazionale ed erigendo l’Arco della pace; e forse in premio dello spirito pacifico che ne suggerì l’idea e ne sostenne l’esecuzione, certo per la benedizione divina su di esso ripetutamente invocata, sia all’inizio dei lavori sia al loro compimento, nonostante i tempi di proclamato laicismo settario11, al traforo del Sempione toccò la sorte di una positiva e concreta funzione di pace durante l’ultima guerra europea, quando attraverso di esso, a decine di migliaia passarono, per rifugiarsi nella Svizzera ospitale, i perseguitati di ogni colore politico, braccati dagli occupanti di turno della Val d’Ossola; e poco mancò che non pagasse questo suo umano servigio con la sua distruzione. A mezzo l’aprile 1945, infatti, i tedeschi in ritirata ebbero l’ordine di farlo saltare in aria: quaranta tonnellate di tritolo erano già arrivate da Monza alla stazione di Varzo; fortuna volle che l’azione combinata di sacerdoti, di funzionari svizzeri e italiani e di partigiani riuscisse a distruggere tempestivamente l’esplosivo dopo averne abilmente allontanata la guardia tedesca12.

Voci nel buio

Un breve fischio ci avverte che il traforo è prossimo. Diamo ancora uno sguardo alla Diveria, che scorre ai piedi delle alte rupi a piombo oltre la strada napoleonica, e poi abbandoniamoci al buio che ci inghiotte. Ne avremo, a ottanta all’ora, per quindici minuti. Chiudere i finestrini? No! Il caldo e l’acqua? E quanto non ne presero essi? Guardiamola da vicino questa muraglia stillante ancora rivoli d’acqua, e ascoltiamolo questo fracasso di ferraglia scatenato dal treno in corsa! Con un po’ di fantasia vi distingueremo l’eco dei colpi e dei rumori che per duemila e quattrocento giorni, tremila uomini, appostati dalla morte, all’oscillante luce delle lampade ad olio, sentirono: il cigolio dei carrelli sulle rotaie mal connesse e lo stridio dei loro freni, il tonfo delle mazze sui pali commessi a sostegno della volta, i colpi dei picconi e il rabbioso mordere dei fioretti sulla roccia durissima, lo scoppio lacerante delle mine e il lungo rimbombo dei massi rovinanti, il sibilo e lo scroscio delle acque e, qualche volta, dopo un grido lacerante, il subito attonito silenzio degli strumenti e dei compagni intorno a un uomo colpito a morte...; ma poi anche l’urlo delle sirene, e lo scoppio dei fuochi artificiali, e lo sbattagliare delle campane, e gli evviva che annunciavano alle valli, alle nazioni e al mondo che gli uomini avevano vinto! A prezzo delle loro ansie e dei loro sudori oggi possiamo correre così, allegramente, sotto un massiccio di duemila metri, senza téma di venir schiacciati, e sicuri di poter rivedere, di qui a qualche momento, di nuovo la luce, che molti di essi, entrando qui dentro, non videro più...

A saperlo intendere per tutto quello che ricorda e quello che promette, il clamore di queste voci si armonizza in un immenso canto alla solidarietà umana; perché, in fondo, a chi la gloria di questo prodigio? A tutti e a nessuno! A che sarebbe servito l’eccesso di mano d’opera da parte dell’Italia se la Svizzera e altre nazioni non avessero esposto i loro capitali? E questi, senza l’apporto del lavoro italiano, che cosa avrebbero reso? E che cosa avrebbero fruttato le braccia degli operai senza gli strumenti di lavoro approntati dall’ingegno dei tecnici? E dove sarebbero riusciti i tecnici non soccorsi dagli studi dei teorici, dalle previdenze dei medici, dal governo dei politici e dal generoso indurare degli operai? Ma se neanche nelle piccole cose, a lungo andare, nessun uomo è sufficiente a se stesso, perché mai pretendere che lo sia nelle grandi imprese? Perché mai non accettare di essere tutti quanti insieme servitori e serviti nella grande impresa della vita? Occorre comprendersi; occorre venirsi incontro! Tutto è perduto con la lotta tra le nazioni, tra le classi, tra fratelli! Se ci odiamo siamo solo capaci di accumulare casse di tritolo a distruzione di quanto altri hanno costruito! Ride, invece, la speranza del promesso successo quando, anche nelle maggiori strettezze, giustizia e carità ci fanno incontrare fratelli, come, ecco, passato il buio e cessato il frastuono, ridono di sole nuovo la valle del Rodano e le vette alpine che la circondano!13.

1 Oltre agli innumerevoli scritti pubblicati per l’occasione in periodici e in giornali, stranamente ricchi, specialmente questi ultimi, di svarioni, abbiamo attinto notizie, prima di tutto nel Cinquantenaire de l’ouverture du tunnel du Simplon, promemoria ciclostilato del Comitato svizzero; poi in Il traforo del Sempione nel cinquantenario, di R. MORTAROTTI (Sodalitas, Domodossola 1956, pp. 64), il migliore lavoro a stampa moderno che ci sia stato dato vedere, documentato ed illustrato, e che porta, tra l’altro, una buona notizia bibliografica sull’argomento; oltre che in molte altre pubblicazioni dei primi di questo secolo, consultate o nella biblioteca dell’Ospizio del Sempione o nella «Sempioniana» del Collegio Mellerio-Rosmini, di Domodossola; tra le quali A. FERRUCCI, Il traforo del Sempione e i passaggi alpini (Milano 1906), e soprattutto il classico A. MALLADRA, Il traforo del Sempione (Milano 1905): pubblicato quando l’opera non era ancora compiuta, il testo ampliato di una sua conferenza, attendibilissimo, essendosi l’autore, già testimonio di veduta, documentato a fonti di prima mano. A lui, tra l’altro, si deve la vasta raccolta di cimeli sulla galleria, esposti appunto nella Sempioniana di Domodossola, unica nel suo grmere. Tra i volumi a stampa ricordiamo anche: G. BONOLA, La ferrovia del Sempione (Roma 1900), al quale attinge lo stesso Malladra.

2 Per essere esatti, il primo treno vi transitò, partendo da Briga, il 25 gennaio. Era un treno simbolico, composto da una locomotiva, dal bagagliaio e da tre vetture, rispettivamente di I, II e III classe.

3 S’intende, come si dirà più avanti, a un binario; perché la più lunga del mondo a due binari è la Bologna-Firenze, di Km. 18,507.

4 Precisamente, quella Est, entrata in esercizio nel 1906, è lunga 19,803; quella Ovest, entrata in esercizio nel 1921, è lunga Km. 19,826.

5 Cioè: il rettifilo, lungo Km. 19,330, per ragioni di raccordo con le vie di accesso dell’Ossola e del Vallese, termina con due curve: una di 400 m. di raggio e lunga 314, verso Iselle, l’altra di 320 m. di raggio e lunga 159 m. verso Briga.

6 Per il Gottardo, lungo cinque chilometri di meno, le differenze furono: in planimetria: cm. 33, in altimetria: cm. 5. Un evidente refuso tipografico ha fatto dire e 87 centimetri di livello, invece di 8,7, prima all’Enciclopedia Treccani e poi al ministro Angelini, nel suo Discorso commemorativo nel cinquantenario del Traforo del Sempione (Roma 1956, p. 10).

7 Cfr L. DEVOTO, Gli studi degli italiani sull’Anchilostomiasi e il traforo del Gottardo, in La Medicina del lavoro, giugno 1932; G. VOLANTE, L’igiene del minatore, Domodossola 1904.

8 La Compagnia del Jura-Simplon, a stipulazione del contratto di lavoro, accettava come base il profilo geologico ufficiale del prof. H. Schardt, che poi si rivelò in gran parte non corrispondente a verità; sicché si può dire che due furono gli sconfitti nell’impresa del Sempione: la montagna e la geologia del tempo, al dire dello Stoppani, ancora bambina. Nota competentemente il MALLADRA: «Interessantissima è la storia geologica del Traforo del Sempione: nessuno dei precedenti trafori alpini diede luogo a tante discussioni, a tante previsioni, cosi diverse l’una dall’altra, e dalla realtà manifestatasi nello scavo della galleria» (op. cit., pp. 47-48); e T. TARAMELLI di rincalzo: «Il traforo del Sempione fu una débacle per la geologia!» (ivi, p. 54).

9 Cioè: 22 nel versante di Briga, 20 su quella di Iselle e 16 per la galleria elicoidale di Varzo, tutti italiani. Altri li portano a 67, di cui 30 per infortunio sul lavoro e 37 per malattia.

10 Ciononostante, il traffico automobilistico sul Passo è molto forte, e va intensificandosi sempre più, avendo largamente superato in questi ultimi anni i 100.000 veicoli; ed andrà ancor più aumentando quando saranno terminati i radicali miglioramenti della strada in corso di esecuzione.

11 Nel 1898 benedissero l’inizio dei lavori, dalla parte italiana, il vescovo di Novara e dalla parte svizzera il vescovo di Sion, e il 2 aprile 1905, al centro della galleria, ne benedissero l’inaugurazione; cosa, per i tempi che correvano, nuova e «sommamente degna di encomio», come notava il cardinale di Milano indirizzando, nello stesso anno, la parola ai sovrani d’Italia. Cfr Civ. Catt. 1906, II, 490, a completamento della prima Fiera internazionale di Milano, tempestivamente descritta dal nostro periodico. Grazie a Dio, in un clima rinnovato di fede e di governo politico, le celebrazioni cinquantenarie hanno avuto uno spiccato carattere religioso, oltre che per le funzioni in suffragio dei caduti, nelle cerimonie celebrate a Domodossola dal vescovo di Novara, mons. Gilla Gremigni, culminate nella sua allocuzione ai due Capi di Stato e nella lettura del seguente autografo del S. Padre: Siamo spiritualmente presenti alla celebrazione che ricorda l’ardimento della scienza, della tecnica e della volontà umana, che col traforo del Sempione aprì una nuova importante via di comunicazione fra due grandi popoli. Augurando che la pacifica vittoria, oggi solennemente commemorata, sia stimolo di concorde azione a sempre più gloriose conquiste, invochiamo su le Autorità e i cittadini dell’una e dell’altra diletta Nazione i conforti della grazia divina e a tutti impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione. Dal Vaticano, 18 maggio 1956. PIUS PP. XII. – Per l’assistenza religiosa durante i lavori del Sempione cfr, dello stesso mons. GILLA GREMIGNI, Il traforo del Sempione e la diocesi di Novara, Novara 1956.

12 Cfr L. PELLANDA, L’Ossola nella tempesta, 2ª ed. Novara 1955, p. 12 ss.

13 Mentre il quaderno va in stampa riceviamo la pregevole pubblicazione di L. IANNATTONI – L. MAGLIETTA, Il cinquantenario del traforo del Sempione, Roma, Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, pp. 34.

In argomento

Cronaca

n. 2526, vol. III (1955), pp. 579-593
n. 2517, vol. II (1955), pp. 284-298
n. 2498, vol. III (1954), pp. 135-150
n. 2500, vol. III (1954), pp. 359-369
n. 2456, vol. IV (1952), pp. 171-182
n. 2399, vol. II (1950), pp. 548-559