Articolo estratto dal volume I del 1956 pubblicato su Google Libri.
Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.
I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.
Figlio dell’illuminismo e nipote della «riforma», l’anticlericalismo allignò prepotente in Italia specialmente nei decenni a cavallo dal 1900, quando la questione romana gli apportò quel più di vigore che esso non aveva ereditato da lombi non nostrani e non magnanimi. Furono, quelli, gli anni dei monumenti a Giordano Bruno e ad altre «vittime dell’oscurantismo pretino», dell’eroica gazzarra inscenata per ribaltare nel Tevere la salma di Pio IX, e degli aulenti florilegi di quel gentil spirito latino che fu Podrecca, sul suo Asino, e del tricolor-fasciato Nathan, pontificante presso la breccia di Porta Pia.
Con la prima guerra mondiale quel frenetico furore s’avviò a sbollire; il fascismo poi pensò a soffocarlo del tutto, almeno finché il rispetto formale alla Chiesa coincise coi suoi interessi, abbandonandosi agli antichi rigurgiti di linguaggio e di prassi al primo affiorare dei profondi contrasti dottrinali ed etici con essa. Caduto il regime, l’anticlericalismo ribollì col tumultuare proprio di forze compresse, in esso confluendo la spinta dei «partiti laici», desiderosi di riprendere l’opera antichiesastica del risorgimento, di cui anelavano al monopolio; l’urto dei marxisti, sicuri ormai di poter spazzar via, anche in Italia come in Russia, ogni traccia dell’oppio del popolo, e, fatto nuovo tra noi, l’assalto in forze dei protestanti, i quali, spalleggiati dalle armi e dai dollari americani, si lanciarono alla conquista della cittadella «papista». Nell’euforia di quei giorni, con mirabile accordo di accenti, dalle concioni «religiose» tenute sulle piazze, dai volantini disseminati a spaglio per le vie, dai libercoli e dalle riviste che fungarono a decine, gli ingenui figli del ventennio vennero finalmente edotti come qualmente non potevano ritenersi italiani nuovi se non bestemmiavano la loro Chiesa e se non equiparavano, nelle parole e nei fatti, i loro sacerdoti a certi neri blattoidi casalinghi.
Oggi quell’effervescenza tende a ridursi nell’alveo stabile di certa stampa ideologicamente qualificata; al regime torrentizio proprio delle acque stagionali più superficiali subentra quello meno turbolento, ma perenne, che è alimentato da sorgenti profonde; e siccome tra le ideologie sociali politico religiose di turno in contrasto col pensiero e con l’azione della Chiesa, in questo momento, per radicalità e virulenza di dottrine è in testa il marxismo, ad esso spetta l’onore di fornire il maggior contributo alla lotta anticlericale. Le sue batterie di sbarramento e di disturbo sono i quotidiani Avanti!, l’Unità, Il Paese e Il Paese sera, dichiarati o cripto marxisti, mentre l’opera d’infiltrazione e di assalto in singoli obiettivi è svolta da Rinascita, Vie nuove, Il lavoro, Cinema nuovo ecc.
Per scoprirne l’animo che li guida e la tattica con cui perseguono i loro scopi, basta esaminarne uno per tutti, tanto unitariamente orchestrata è la condotta di essi. Noi ci fermiamo sul Contemporaneo, che, pomposamente autodefinendosi settimanale di cultura, per periodicità e per contenuto nella produzione marxista si situa in mezzo tra il giornale di massa e la rivista specializzata1.
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Di quale cultura si tratti è presto chiarito, perché il settimanale ha, sì, rubriche di politica, di letteratura, di arti figurative, di. cinema, di bibliografia ecc., ma molto del suo spazio lo consacra ad argomenti che con la cultura hanno poco da spartire: come appalti e taglio di zone boschive (3, 7; 11, 12), infortuni sul lavoro nelle fabbriche (4, 6 e 7), l’ambasciatore Clara Boothe Luce e la bomba H (5, 2), lo sgombro di una «Casa del popolo» (6, 7), gli schedari di padroni e la polizia privata (14, 12), i tribunali militari, la resistenza...
Ce ne meravigliamo? Ma i suoi redattori si meravigliano della nostra meraviglia, e ci avvertono che «dieci anni di liberazione in Italia hanno cambiato le idee di Stato, di democrazia, partito, sindacato, fascismo, antifascismo, cultura, libertà, religione, Chiesa cattolica» (24, 1). Cultura ormai è sinonimo di antifascismo (1, 1), e siccome, com’è notorio, il governo è fascista, è alta cultura dire male del governo, a proposito e a sproposito, e di chi è amico del governo, o di chi non gli è nemico: la R.A.I. (4, 2), la censura dei film (1, 9; 13, 7; 16, 1 ecc.), il ministero della Pubblica Istruzione (5, 1), l’America (5, 5; 28, 13; 45), la Spagna...; è altissima cultura difendere i comunisti, coraggiosissimamente, giacché i poverelli oggi in Italia sono braccati dalla polizia, sono oggetto d’intimidazione (19, 6 e 7), di calunnie – il triangolo della morte è una leggenda (5, 7), i fatti di Pozzonuovo sono inventati! (10, 7) – e contro di loro ci si mette anche la Chiesa col suo anticomunismo «di prevenzione e politico» (3, 4)...
Se le cose stanno così, perché non coronare la cultura-trenodia per quanto di rozzo essi lamentano nelle nostre barbare contrade con la cultura-peana per quanto di civilissimo si attua nella patria dei loro sospiri? Beati regni, quelli, dove abbondano miracoli a noi ignoti! Officine con altiforni che fumano (2), giardini pubblici con panchine e fontane che gettano acqua (1), contadini che sanno leggere (22), nonché scrivere (7), nonché sonare l’armonica (47) e ballare (36), e tra l’uno e l’altro raccolto kolossal (17) si affollano nelle pinacoteche (51)! Là si fanno convegni di pace, di pace, di pace (3, 28, 36); là gli scrittori sono liberi di scrivere quello e come loro talenta (2, 1), mentre da noi, come si sa, non esiste libertà di espressione (2, 1); là è inaudito un abuso come quello che si è perpetrato in Italia ritirando il passaporto al prof. Flora (4)! Qui da noi si nega il nulla osta ai migliori film stranieri e si massacrano i film italiani, mentre in Russia la censura è sconosciuta (i tagli imposti ad Eisenstein? calunnia!); da noi la storia nei testi scolastici si serve adulterata (29): là è veridica; gli indegni conflitti che in Italia si deplorano tra colonie estive comuniste e clericali, tra ricchi viziosi e poveri lavoratori e onesti (2, 6; 4, 12) in quel regno della pace e della giustizia non sono nemmeno pensabili! Perché? Perché lassù non c’è un governo fascista, un governo democristiano, ispirato e sostenuto dalla Chiesa! E allora: dàgli alla Chiesa!
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Però, con juicio! almeno nel 1955, anno della distensione, della mano tesa e dello spirito di Ginevra! Dunque, nessun attacco, ma solo legittima difesa, quando proprio non se ne può fare a meno, a tutela della sacra trimurti: libertà-democrazia-costituzione, della quale in Italia, come oltre cortina, i marxisti sono le incontaminate vergini vestali. Perché mai l’«istituto ecclesiastico» vincola con la sua censura la libertà di espressione (1, 9; 16, 1 e 2; 5, 1) e specialmente con quel suo fascista ed oscurantista Centro Cattolico Cinematografico (1, 9)? Perché l’ingerenza della Chiesa nella scuola «privata», mediante la quale, col compiacente appoggio del governo (20, 1), si tende a scalzare la scuola di Stato (2, 4; 5, 1; 30, 7; 41, 1)? Perché la sempre più invadente presenza della Chiesa nella vita privata e pubblica del cittadino (11, 4)? La Chiesa stampa troppi periodici in Italia (32, 12)! Nella Chiesa tutti fanno politica. La fa il Papa se parla (4, 5), se tace (14, 4), se istituisce la festa religiosa di san Giuseppe operaio (22, 4), se ha delle visioni (48); la fanno i cappellani (19, 6), la fanno i parroci. La sua politica abusiva spiega le sue sconfitte in Italia e nel mondo moderno. Udite! «Per reazione alla propaganda politica della parrocchia una contadina si è convertita al protestantesimo» (11, 6)! (meno male che l’onesto redattore subito nota che si tratta di un’analfabeta). «L’istituto ecclesiastico si è impegnato ad oltranza in un anticomunismo politico... che l’ha separato praticamente dalla cattolicità dell’Europa orientale» (14, 4)! (Questa vigliacca perla giapponese appartiene al signor Teseo Consalvi, specialista in illazioni cervellotiche su quanto gli riesce di annusare braccando intorno al Vaticano e maestro nel distorcere in chiave politica tutto quel poco che riesce a conoscere, illazioni e distorsioni fatuamente contrabbandando sotto l’etichetta degli interessi della Chiesa (26, 4), la quale, a suo dire (16, 4), fa male a non trattare con la Russia!).
Si tradisce in queste accuse la deformazione professionale dei marxisti, per i quali la politica è tutto, e tutto è politica, anche il film La strada (17, 4), anche le pitture del Beato Angelico (23, 14), anche gli organismi rappresentativi universitari, che, di culturali che sono, devono mutarsi in politici (24, 4); ma si tradisce anche la loro insofferenza per una Chiesa che ardisca essere per i credenti qualche cosa più di un culto. Se essa accettasse di rinserrarsi nel chiuso delle coscienze e delle sagrestie, per necessità di tattica si adatterebbero a sopportare la sua inutile sovrastruttura, in attesa di spazzarla via il giorno che il trionfo del proletariato segnerà il trionfo del materialismo marxista; ma che essa si dia per società pubblica ed autonoma, fonte primaria di diritti e di doveri, e che il cittadino della città terrena si senta in diritto di chiederle tutti i mezzi per assicurarsi la cittadinanza di quella celeste, questo i marxisti non possono sopportarlo! Un istinto incoercibile li porta a forzare ogni consegna di tattica distensione e li forza a scoprirsi. La Chiesa diventa nemica degna di ogni dileggio, per il quale si organizza un vocabolario adeguato. Cattolico, clericale, ignorante e fascista sono resi sinonimi. Lo scienziato cattolico è un minorato (40, 3); una progettata facoltà di medicina dell’Università del Sacro Cuore sarebbe antiscientifica (38, 6), i clericali stroncatori di Senso sono fascisti (6, 4), tarato di apologismo fascista è un artista religioso (48, 2)2. Dove non arrivano i termini verbali suppliscono le illustrazioni, scelte con altissimo senso di cultura e di gusto artistico. Preti che sbadigliano (32), canonici che pregano (38), seminaristi (47) e giovani cattolici (46) dalle facce ridicole, pasciuti monsignori che spiano le vicende piccanti di Casanova (13), il Papa fotografato di scorcio col naso in aria (48), dicono e non dicono che, dall’alto in basso, la genia dell’«istituto ecclesiastico» è composta di fannulloni, di smidollati, di tardigradi, d’incontinenti e di visionari; in ogni caso di tipi che con la cultura non hanno nulla da spartire (37, 2), ridicoli quando fanno lo sport (45), nemici della pace (34).
È uno stato d’animo che traspira da tutti i pori di questi marxisti militanti. Per essi ogni religione è superstizione; ebbene: pure di dare addosso alla Chiesa cattolica essi simpatizzano per i protestanti (1, 7), difendono Huss (38, 7)3.
Ma basta un minuto di mancato controllo su se stessi per mettere allo scoperto la profonda irreligione che li rode. Si veda il sarcasmo con cui deridono la pietà di un credente (29, 12) o gli intenti apostolici di una nazione (24, 5); si osservino le loro perfide simpatie per uno scrittore che sguazza in presunti scandali intorno al Vaticano, nella speranza che qualche zaffata di fango schizzi molto in alto e, se possibile, imbratti tutta la Chiesa (25, 2); si analizzi l’opera di svuotamento dei dommi cattolici tentata qua e là, ora dando un’interpretazione materialista delle feste cattoliche (39, 9), ora riducendo il senso profondo del Natale al solstizio invernale (1, 1), ora mettendo in dubbio l’esistenza di Dio, o almeno la validità delle sue prove razionali, asserendo che nulla si crea e nulla si distrugge (2, 10) e sdegnosamente scalzando ogni religione come antiscientifica e antimoderna, dando come assioma che «tutto lo sviluppo del pensiero moderno è in direzione di una sempre più salda e cosciente presa di possesso di se stesso, di una sempre più assoluta autonomia che esclude ogni trascendenza» (51, 2).
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Ora ci siamo: questo è il marxismo nella sua più intima istanza antireligiosa e anticristiana! Se con questi principi, non meno radicali di quelli in cui prosperava l’anticlericalismo ubriaco d’anteguerra, i comunisti non arrivano agli estremi di una lotta aperta, è solo perché per il momento la stimano politicamente inopportuna. Il Contemporaneo ne attribuisce il merito a Togliatti (26, 2) e si aspetta che i cattolici italiani gliene siano grati. Merito o non merito, non saremmo certo noi a ringraziare chi ci osteggia come meglio può, solo perché non anche ci sputi in faccia o non ci ammazzi. Non ci facciamo alcuna illusione. Appena lo potessero, i marxisti passerebbero dalla «distensione» odierna all’altra, l’unica, che è pienamente iri linea coi dommi disumani della loro dottrina: quella che distende a terra l’avversario sopprimendolo. Le martellate alla testa con cui il muratore comunista di Modena ha ammazzato sua madre, rea di andare in chiesa 4, sono il simbolo bestiale della più bestiale realtà che il marxismo regalerebbe all’Italia il giorno che arrivasse al potere, della stessa realtà che in U.R.S.S. e satelliti sta tentando di schiacciare la Chiesa dei martiri e del silenzio.
1 In questa rassegna ci riferiremo solo ai numeri dell’annata 1955; delle cifre in parentesi la prima rimanda ai numeri del settimanale, la seconda alla pagina.
2 Questo, non ostante che in tema di apologeti del fascismo le monache del Contemporaneo, come quelle di Monza, potrebbero saperne di più se, invece di cercare lontano, scavassero vicino.
3 La difesa d’ufficio dell’eresiarca toccata a L. Chiarini, il quale in quest’occasione si prestato alla più infelice delle sue produzioni sul Contemporaneo, sconfinando su giudizi storici, teologici e apologetici falsi e tendenziosi. Con la competenza di critico che gli riconosciamo, però, egli trova «che non si può certo parlare di un film d’arte»: ciò che non ha impedito ai critici marxisti di bollare il veto della Mostra di Venezia, anche da noi criticato per altri motivi (Civ. Catt. 1955, IV, 152), come di un attentato alla libertà dell’arte.
4 Cfr Il Messaggero, 19 gennaio 1956, p. 8; 6 febbraio, p. 9.