NOTE
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* Cfr Civ. Catt. 1963, II, 248-260.

1 Cfr i due documenti in MULLAN, nn. 508 ss., 541 ss.; i due luoghi particolari sono ai nn. 531 e 556.

2 Ivi, nn. 509, 512 e 543.

3 Dunque, per quanto tutto porti a crederlo, non è del tutto certo che il primo nucleo del Leunis sia stato specificamente mariano. Il p. VILLARET (p. 327 ss.) tenta provarlo, ma con argomenti non risolutivi. Certo, se è vero che la testimonianza del Malevolta, del 14 luglio 1564, non esclude il 1563, resta strano che lo scrivente ricordi l’altarino avanti al quale i primi congregati si radunarono, e non dice a chi l’altare fosse dedicato. Si direbbe che la circostanza gli sia parsa non essenziale rispetto ai fatti narrati.

4 Dagli Statuti della Ven. Arciconf. della SS.ma Nunziata, Roma 1614, Prefazione; riportato da A. ZUCCHI, Roma domenicana, II, pp. 76-77. – Buone notizie della «Compagnia» anche in Roma antica e moderna, Franzini, 1668, p. 175.
La cappella della Compagnia era, entrando nella Minerva, la quarta a destra, dov’è la lapide e il busto in bronzo del Torquemada. Dal 1637 la sede fu avanti a S. Chiara, nella casa dove era morta santa Caterina da Siena, in un «oratorio della confraternita dell’Annunziata», per la quale cfr ARMELLINI - CECCHELLI, Le chiese di Roma, Roma 1942, p. 1250, ed. A. ZUCCHI, op. cit., p. 76 ss. – La «compagnia» cessò del tutto nel 1870, quando il nuovo Stato italiano le confiscò tutti i beni.

5 Per la descrizione di questa cavalcata cfr MORONI, Dizionario, VIII, pp. 149 ss., dove anche si nota che la Cappella papale ebbe origine molto prima, da Eugenio IV, «che primo celebrolla in detta chiesa di S. Maria sopra Minerva, nella cui sagrestia era stato eletto pontefice a’ 3 di marzo 1431». Anche PARIDE DE GRASSI ne parla nel suo diario, ai 12 aprile 1510.

6 Lo strumento è riportato in gran parte in RINALDI, pp. 133-136.

7 Ivi, pp. 134-135.

8 Basti rilevare tutta la sodisfazione che dell’affare concluso traspare negli appunti stesi dal contemporaneo autore di De Collegio Romano 1551-1561 (RINALDI, 67). – Quale architetto la marchesa abbia incaricato dei piani della chiesa non si sa; ma una notizia, forse, potrebbe mettere sulle sue tracce. «Fra le carte attribuite all’architetto topografo Bartolomeo dei Rocchi di Brianza, conservate negli Uffizi di Firenze, quella col n. 4180 contiene la pianta geometrica, misurata con tutta diligenza, del quartiere occupato poi dal Collegio Romano, con progetto di costruzione di una chiesa e di un monastero» (Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma, Roma 1883, pp. 50).

9 Sui fratelli Tristano, cfr il capitale e definitivo studio di PIETRO PIRRI S.I.: Giovanni Tristano e i primordi dell’architettura gesuitica, Roma 1955, che qui largamente utilizziamo.

10 POLANCI, I, 316 e 319.

11 POLANCI, I, 373 e 37.

12 POLANCI, I, 419.

13 POLANCI, I, 470.

14 POLANCI, II, 641.

15 Ancora per la munificenza della Marchesa della Tolfa, «la quale ha dato etiam il necessario per la dipentura della cappella maggiore» (POLANCI, II, 12).

16 POLANCI, II, 12.

17 «In sacello quod intra collegium habent » (POLANCI, I, 471).

18 POLANCI, I, 326.

19 POLANCI, II, 87-88

20 È nel Catalogo della Chiese di Roma (Bibl. Vatic. Lat. 11.911, p. 24), riportata da ARMELLINI - CECCHELLI, op. cit., p. 1343.

21 Origini, p. 113, in RINALDI, p. 116.

22 Oltre a La Nunziata del Collegio Ronzano, la chiesetta si chiamò anche La Nunziata al Camilliano, dal nome della contrada; la quale a sua volta l’aveva preso da un rudere romano che allora sporgeva sull’odierna Piazza del Collegio Romano, e che portò il nome di Arco Maggiore, o Arco di Camillo (cfr ARMELLINI - CECCHELLI, op. cit., pp. 581-582). Nel 1625 c’era ancora (cfr CEPARI - SCHROEDER, Vita di S. Luigi Gonzaga, 1891, p. 390, n. 34).

22 bis. Il «Gesù vecchio» di Napoli, cominciato nel 1557, fu terminato nel 1567, e qualche decennio dopo (1613), come la Nunziata, anch’esso venne per la maggior parte abbattuto, per far posto ad una chiesa più capace. Fortuna che nel buon architetto Giovanni Tristano, al dire del Sacchini, «l’edificazione della sua umiltà, mitezza, obbedienza, spirito di preghiera e di ogni altra religiosa virtù, superava di gran lunga quella delle sue fabbriche»! Del resto, tra le chiese dovute, in tutto o in parte, alla sua arte ed opera, restano ancora: il Gesù di Palermo, il Gesù dì Forlì, il Gesù di Ferrara, il Gesù di Perugia e lo stesso Gesù dì Roma (PIRRI, op. cit., passim).

23 Secondo misure prese su quel che ne resta, la chiesa, senza i locali attigui all’abside, misurava sui 253 m², di cui 147 della navata, abside compresa. L’insieme doveva apparire piuttosto tozzo perché la larghezza (m. 16,70) era eccessiva rispetto alla lunghezza (m. 19,87 compresa l’abside). Cfr anche CEPARI - SCHROEDER, op. cit., p. 390, n. 34).

24 Cfr Le piante di Roma, a cura di A.P. FRUTAZ, Roma 1962, voll. II e III, tavv. 232, 244, 250, 265 e 275, 289, 300, 315, 325. – P. PIRRI, op. cit., tav. IV di p. 27, riporta la riproduzione del disegno originale di G. Tristano, sia della facciata sia di una fiancata interna della Nunziata (ripreso dalla Estense di Modena, Cod. Campori, I, I, 50). Secondo P. PIRRI (op. cit., pp. 163-166), il disegno appare non scevro di influssi michelangioleschi e dipenderebbe dal V dei Sette libri di architettura, di SEBASTIANO SERLIO, uscito a Venezia nel 1551.

25 OTTAVIO PANCIROLI, I tesori nascosti nell’Alma città di Roma, Roma 1600, p. 469; e GIROLAMO FRANCINI, Le cose meravigliose dell’alma città di Roma anfiteatro del mondo, Roma 1600, pp. 76-77.

26 Infatti, nell’estate dello stesso anno, il Leunis veniva rinviato a Parigi. Moriva poi a Torino il 19 nov. 1584, e fu il primo ad essere sepolto nella chiesa dei SS. Martiri (cfr J. WICKI e R. DENDAL, Le P. Leunis S.I. [1532-1584], Roma 1961).

27 Il santo giunse al Collegio Romano, ancora novizio, nel maggio del 1587, per studiarvi filosofia e teologia, e vi morì il 21 giugno 1591. Tolte quindi le parentesi dei sette mesi e mezzo d’assenza del viaggio a Mantova (12 sett. 1589 - maggio 1590), della dimora a Napoli e delle vacanze estive passate nella villa di Frascati, ci passò complessivamente tre anni. Tuttavia, di alcuni suoi fatti più significativi furono testimoni altri santuari romani. Per esempio, i voti religiosi li fece (25 nov. 1587) «nella cappella della nuova abitazione, che è sopra le scuole del Collegio Romano»; la tonsura e gli ordini minori (febbr.-marzo 1588) li ebbe in S. Giovanni in Laterano (CEPARl, Vita di San Luigi Gonzaga, cap. XII).

28 CEPARI – SCHROEDER, op. cit., p. 393.

29 CEPARI, op. cit., p. II, cap. XXXII. Questa \’ita il Cepari la pubblicò nel 1606.

30 CEPARI – SCHROEDER, op. cit., p. 280.

31 Nota lo SCHROEDER (ivi) che nel maggio 1605 il papa Paolo V aveva solo dato il permesso di fare appendere sopra la tomba l’immagine di Luigi con l’aureola; solo nel concistoro del 26 sett. 1605, gli decretò solennemente ,il titolo di beato. E lo stesso diligentissimo biografo così descrive le feste: «Tutta la chiesa del Collegio Romano il 21 giugno fu rivestita di preziosi addobbi, sui quali spiccavano molti emblemi e stemmi di ogni genere collocati a disegno, e tutto intorno al cornicione della chiesa girava una fascia con sopra un’iscrizione esprimente la dedica delle feste ed onoranze nei seguenti termini: "Beato Aloysio Gonzagae, Sacri lmperii Principi, Marchioni Castellionis, e Societate Jesu, qui generis nobilitatem auxit gloria meritorum, sanctorum gloriam vitae sanctitate aequavit, multorum sanctitatem summa innocentia superavit, ambae Humanitatis Classes, Legati Caesarei nomine posuerunt”. La cappella della Madonna, in cui era il sepolcro del Santo, adorna di preziosi drappi sfavillava tutta d’oro e d’argento, come pure l’immagine del Santo posta sotto un baldacchino sfolgoreggiante di luce dorata. Innanzi all’altare spiegavasi un ricchissimo tappeto, ov’erano intessute le parole seguenti: “Qui riposano le ceneri del B. Luigi Gonzaga d.C.d.G.”, e il nome di Gesù formato in lettere d’oro, riluceva sopra l’iscrizione, al disotto della quale si vedeva lo stemma dei Gonzaga di Castiglione. Nel giorno della festa, nella cappella del sepolcro fin dal mattino cominciarono a succedersi per tempissimo le messe in ringraziamento a Dio per l’esaltazione del suo servo Luigi. Il popolo si affollava alla comunione e alla venerazione del Santo. Né solo il popolo; ma eziando i Cardinali, Duchi, Principi e Legati di quasi tutte le potenze cattoliche si trovarono presenti per onorare il novello Beato. Durò otto giorni la festa, nei quali fu sempre piena la chiesa di devoti».

32 Sulla cappella si alza una cupola riccamente ornata e dipinta. Nei quattro pennacchi porta le figure della Pietà e della Preghiera (donna che guarda in alto, mentre con la sinistra solleva un incensiere), della Povertà (donna che calpesta una corona principesca ed una mitra), della Castità (donna che accoglie un unicornio), e dell’Ubbidienza (donna che, con la destra, sostiene una bilancia e con la sinistra indica il cielo). Il concavo della cupola porta quattro scomparti, con ivi figurati quattro momenti della vita del santo. Nel primo è il santo ragazzo che prega e si flagella avanti ad un’immagine della Madonna; nel secondo il santo, già religioso, prega sull’ingresso di una chiesa (che con tutta probabilità riproduce quello stesso della Nunziata); nel terzo, il santo che lava i piedi ad un povero, e nel quarto il santo che muore assistito dai confratelli. Tra i riquadri, quattro ovoidi con puttini; stucchi rilevati circondano il nome di Gesù al centro, ed irraggiano separando gli otto tra scomparti ed ovoidi (CEPARI – SCHROEDER ne porta la descrizione ed il cliché, op. cit., pp. 394 e 292).

33 L’altare portava un quadro di san Luigi Gonzaga che «ora (1891) si trova alla Gregoriana» (cfr CEPARI – SCHROEDER, op. cit., p. 391).

34 Nella nuova chiesa le spoglie furono poste sotto l’altare dell’odierna cappella di S. Giuseppe (che occupa il posto della stanza dove Luigi morì), e qui rimasero fino al 20 dic. 1699, quando, terminata la splendida cappella odierna di S. Luigi, nuovo dono della famiglia Lancellotti, furono allogate nell’urna di lapislazzolo sotto l’altare (cfr P. TACCHI VENTURI, Le sei traslazioni delle reliquie di S. Luigi Gonzaga, in «S. Luigi», nov. 1926, pp. 156-159).

35 CEPARI, Vita di San Giovanni Berchmans, parte II, capp. 6, 16 e 21, dove si trovano anche i passi che seguono; il racconto dei funerali è invece alla parte III, capp. IX e X.

36 T. SEVERIN, S. Jean Berchmans, Ses écrits, Lovanio 1931, pp. 89-90. L’originale è in latino: «... concessit R.A.P.N. Generalis, ut votorum renovatio, quae alias in S. Mariae Magdalenae, nunc in festo ipsius fiat. Quo tempore a tribus nobilissimis adulescentibus in templo Collegii Romani ad sacellum ipsius, quod e marmore praestantissimo magnifice exstructum est, oratio latina, graeca et poema coram Cardinalibus recitari solet».

37 L.J.M. CROS, Vita di San Giovanni Berchmans, Torino 1921, pp. 414 ss.

38 Pare che sia restato vicino a san Luigi soltanto due giorni. Fu il padre generale Muzio Vitelleschi che, «per mettere un freno al culto indiscreto, di cui era divenuto oggetto, lo fece trasportare... nella sepoltura ordinaria della comunità» (CROS, op. cit., p. 416).

39 Quivi i due santi restarono insieme per trentasei anni. Infatti, ultimata la nuova chiesa nel 1685, la salma di Giovanni fu trasportata nella sepoltura comune del Collegio Romano, al centro della stessa, donde l’11 maggio 1865 fu tolta per venire deposta definitivamente sotto l’altare dell’Annunciata, di fronte e gemello a quello di san Luigi.

40 E quindi anche con altri giovani gesuiti, che, al dire dello stesso Bellarmino, in santità non furono inferiori a Luigi, secondo quanto ne riferisce DANIELLO BARTOLI (Vita di Roberto Cardinal Bellarmino, Roma 1678, p. 131): «Io, per domandarne che ho fatto fin da forse trent’anni addietro a più d’uno de’ nostri d’assai lunga età, sono stato certificato d’esser vero quel di che correa voce, il Bellarmino, in una delle spirituali esortazioni che tal volta, etiandio Cardinale, solea fare a’ Nostri del Collegio Romano, adunati a sentirlo nella loro piccola Chiesa che in que’ tempi era la Nuntiata; haver detto, in quella sepoltura, additando la propria dove i giovani della Compagnia defunti si sotterravano, haverne di quegli, che quanto si è ad innocenza, ed interior santità, a perfettione, e merito di virtù, egli giudicava essere stati uguali al B. Luigi».

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Commemorando il quarto centenario delle prime origini della Prima Primaria, abbiamo visto alcune caratteristiche dei suoi membri e dello spirito che li animò*; passiamo ora ad alcuni rilievi sui luoghi che ne furono la sede.

Perché «della S.ma Annunziata»?

Il 5 dicembre 1584, Gregorio XIII, con la bolla Omnipotentis Dei, erigeva canonicamente in Prima Primaria la congregazione mariana degli adulti del Collegio Romano, ponendola sotto il titolo della S.ma Annunziata, ed insieme disponeva che di questo stesso titolo si decorassero in avvenire tutte le congregazioni mariane che venissero erette nel mondo e ad essa aggregate e congiunte tamquam membra a capite; disposizione che rimase in vigore per poco più di due anni, cioè fino al 5 gennaio 1587, quando, con la bolla Superna dispositione, Sisto V concedeva, tra l’altro, alle future congregazioni mariane di decorarsi con qualsiasi titolo, anche non mariano1.

Perché, alle origini, tanta predilezione per il mistero dell’Annunciazione? – L’uno e l’altro documento pontificio spiegano: – «Perché la Prima Primaria aveva avuto le sue prime origini nella chiesa dell’Annunciazione, sita negli edifici del Collegio Romano, ivi appunto essendosi radunati i primi congregati per i loro peculiari esercizi di pietà»2. Ma, e sia detto con tutto il rispetto, ciò non è esatto. Infatti, come abbiamo visto, il primo documento che riferisce circa quelle prime origini parla di «studenti raccolti intorno ad un altarino — e non specifica se mariano, o meno3 — eretto in un’aula del Collegio». Né poteva riferire altrimenti, perché in quel 1563 la chiesa dell’Annunziata non esisteva o, meglio, ne esistevano appena le fondamenta. Come si spiega questo abbaglio? – Lo vedremo riandando le vicende della preziosa, ma ormai quasi scomparsa, chiesetta. 

La «Compagnia» del Torquemada

Un secolo prima degli avvenimenti che ci riguardano, nel 1460, il domenicano Giovanni Torquemada, parente del famoso inquisitore spagnuolo, fondava nella chiesa della Minerva, in Roma, «sotto il numero di ducento Cittadini Romani, per il cui reggimento ordinò alcuni capitoli», una «Compagnia della S.ma Nunziata», scopo della quale era «l’infiammar gli animi devoti al culto divino, et veneratione della vergine nostra Signora». Ma fin dal 1465, «essendo proprio della Charità, e dell’amore l’operare», i Fratelli della Compagnia «stabilirono di rendersi utili al prossimo raccogliendo le limosine per dotare povere fanciulle»4. Un secolo dopo ne distribuivano più di cinquecento l’anno, in una suggestiva funzione, che si svolgeva alla Minerva il giorno dell’Annunciazione, alla presenza del Papa, che vi si recava in solenne cavalcata5.

Alla cerimonia devota e spettacolare dovette essere puntualmente presente con ammirata pietà ed edificazione la marchesa Vittoria della Tolfa, che abitava a due passi dalla Minerva; tanto che, restata vedova, nel 1555, del marchese Camillo Orsini, riunì in un solo monastero la casa del defunto, la sua personale e quella già abitata da suo zio Paolo IV quando era cardinale, tutte presso l’«Aguglia di S. Mauto», e vi allogò le clarisse dell’osservanza; quindi, in un terreno contiguo, acquistato per questo è scopo, gettava le fondamenta di una chiesa, che volle, dedicata a S. Maria della Nunziata, ed affidata appunto alla «Compagnia» dello stesso nome.

Le cose stavano a questo punto quando, il 18 agosto del 1559, Paolo IV moriva. Alla ferale notizia, o che prevedessero i disordini che poi di fatto seguirono, o che ne fossero esse stesse atterrite testimoni, le povere clarisse sloggiarono in tutta fretta per rifugiarsi nei loro conventi di origine. Infatti, nella notte del 19, il popolaccio si scatenò contro tutto quello che ricordava il papa defunto; tumultuò contro i frati della Minerva e la loro aborrita Inquisizione; dalla Minerva passò all’Aguglia di S. Mauto, gridando, battendo e minacciando; ed anche la casa Salviati, dove i gesuiti insegnavano, corse pericolo di essere incendiata.

A tumulto terminato, tutto l’isolato della marchesa della Tolfa restò vuoto. Alcuni amici dei gesuiti consigliarono i padri a metterci gli occhi sopra, né invano; perché il loro generale Giacomo Laínez, recatosi dal nuovo pontefice per rendergli speciale omaggio di ubbidienza da parte di tutto l’ordine, come vogliono le Costituzioni, gli espose la sua richiesta; e Pio IV, consultata una commissione di quattro cardinali da lui nominata, senz’altro fece pregare la marchesa di voler passare ai padri quanto già aveva assegnato alle clarisse ed alla Compagnia della Nunziata. La marchesa consentì di buon grado, mediante un contratto di cessione in data 22 aprile 15606. Nello stesso giorno i gesuiti, come abbiamo visto, traslocavano nella nuova residenza, dove, sistemati alla meglio undici locali, qualche settimana dopo riaprivano le scuole. Ed appunto in uno di questi locali, nel 1563, il Leunis adunava i suoi studenti.

La Nunziata del Camilliano

Che ne fu, allora, della chiesa, già progettata ed iniziata? Una clausola del contratto di cessione faceva obbligo ai gesuiti di edificarla, o riprendendola sulle fondamenta già gittate, oppure altrove7. Il Laínez, nonostante la critica situazione finanziaria che il collegio stava passando, appena sistemati i lavori più urgenti delle scuole fece porre le mani a quelli della chiesa, e precisamente dove erano stati interrotti; certo per fare economia, ed anche perché dovette giudicare ormai definitivo quel terzo e fortunato trasloco del Collegio Romano8.

Tutta la fabbrica era stata affidata al noto fratello Giovanni Tristano9, che, «muratore e ferrarese», dopo la morte della moglie e dei due figli, tiratovi dal suo fratello Lorenzo, che ve l’aveva preceduto fin dal 1552, da cinque anni (1556) era entrato nella Compagnia di Gesù. A questo scopo, il 28 marzo 1560, dal Laínez era stato richiamato da Napoli, ove dirigeva la costruzione del «Gesù vecchio». Difatti, però, in quello stesso anno inviato a Perugia ed altrove, ove ferveva l’attività costruttiva della compagnia, poté occuparsi della Nunziata solo a pezzi e bocconi, affidatane tutta la sovrintendenza al fratello Lorenzo. Il 24 settembre 1561, da Perugia ne mandava il disegno; ai primi del 1562 era presente al rito della prima pietra, posta dal card. Ottone Trunchsess; nel settembre e nel novembre vi tornava di nuovo a farvi riprendere i lavori interrotti per una grave caduta, miiracolosamente non mortale, di Lorenzo10.

D’allora in poi non ci fu, si può dire, lettera semestrale dell’ordine, che non segnalasse con sodisfazione grande i progressi della costruzione, spesso ricordando che non vi lavorava nessun esterno, bensì soltanto coadiutori gesuiti, nonché, quando gli studi lo permettevano loro, studenti e professori. Infatti, quella del dicembre 1562 annuncia che la fabbrica aveva raggiunto già una discreta altezza, nonostante una mortale malattia, grazie a Dio superata, del capomastro Lorenzo; quella del giugno ’63 – ed il Leunis, con i suoi congregati, ne fu certamente spettatore – nota che «li muratori, con quelli che loro aiutano a fabbricare la chiesa... sono tanto diligenti, che ben pare siano spenti [spinti] non da speranza di bene transitorio, ma da quello che certamente aspettano li veri amatori»; ed ancora, che «Alli forastieri pare impossibile... che si fabbrichi la chiesa del collegio con tanta prontezza ed ancora con assai bel apparato dentro e di fuori»11. Quella del gennaio ’64 nota che «si trova già in buoni termini, essendosi finita d’alzare quanto ha da essere alta la cappella maggiore; et tuttavia si fabbrica dalli nostri con la solita diligenza et charità, senza pigliare alcuni forastieri»12; finalmente quella del luglio dello stesso anno, nel riferire la caduta, grazie a Dio non mortale, di uno dei muratori gesuiti, c’informa che ormai si era arrivati al tetto13; ed un libretto di appunti del Polanco, dopo il 19 ottobre, laconicamente segna: «A Roma si terminò la chiesa del collegio» (Romae absolutum fuit collegii templum)14.

Ma «finito» significava che si erano coperte le capriate del tetto; ché ci vollero altri due anni e mezzo per attarla al culto. Infatti, soltanto nel 1566 fu affrescata l’abside15, e soltanto il 25 marzo 1567 san Francesco Borgia, da due anni generale dell’ordine, poté aprirla ai fedeli, egli stesso «cantandovi una messa molto solenne»16.

Nel frattempo, dove si radunavano i congregati? – Per il 1563 già l’abbiamo visto: in un’aula. Per il 1564 si parla di «una loro cappella nel collegio»17, probabilmente quella nella quale il Borgia, due anni prima, con grande giubilo, aveva ottenuto di porre il Santissimo18. Né sembra che col 1567 siano passati nella chiesa; infatti, ancora per il 1570 si assicura che «la congregatione si fa le feste la mattina in un’oratorio deputato per questo, appresso il coro del collegio», e che nelle accademie si ponevano «compositioni scritte nelle mura dell’oratorio»; quindi si soggiunge: «Il sabato sera dopo le dispute cantano le letanie della Madonna in chiesa con l’avemaria o simil cosa in musica», ma si precisa subito, ad indicare che la funzione non era propria della congregazione, bensì comune a tutto il collegio: «e vi si trovano tutte le scuole con sui maestri»19.

Supponendo che i congregati vi abbiano cominciato a tenere le loro adunanze col 1571, i quattordici anni precedenti il 1584 segnerebbero i limiti entro cui intendere l’affermazione delle due bolle pontificie sopra ricordate.

Troviamo un segno del nascere della tradizione in ciò che ne scriveva quattro anni dopo, o poco più, il canonico Francesco del Sodo: 

«L’Annunciata del Camilliano. Questa è una chiesa d’assai bel disegno, con una bella tribuna et simili altari, quale è nel Collegio della Compagnia de Jesu, et e offitiata da detti Padri con musica, et fu dalli fondamenti fatta dal’l’ill.ma Signora Vittoria della Tolfa Orsina Marchesa della Valle nel 1569, et v’è un bel tabernacolo per il S.mo Sacramento et reliquie in quattro reliquari dorati. Qui è una Congregatione de giovani, cioè li loro scolari (i quali si radunano in questo luogo, et qui si confessano et si comunicano) chiamata Congregatione dell’Annuntiata, et nel giorno di detta festa è indulgentia plenaria, et in l’anno santo ottennero il Santo Giubileo in cinque volte uniti»20.

Ma la Nunziata del Camilliano21, tirata su con tanto fervore, doveva avere vita breve. Già la sua piccolezza la rendeva non adatta all’enorme fabbrica che dal 1581-’83 diveniva il Collegio Romano, ed alla sua scolaresca, la quale nel 1591 sorpassò i duemila. Poi influì la solenne canonizzazione di sant’Ignazio, fatta nel 1622 da Gregorio XV, avvenimento che sollecitò il nipote, card. Ludovico Ludovisi, a costruire una splendida chiesa degna del nuovo santo. Per ciò fare, nel 1626 «si demolì quella parte del Coll. Vecchio che in faccia alla Guglia S. Mauto si stendeva per quel sito, nel quale in oggi sono la cappella di S. Stanislao, di S. Giuseppe, di S. Giovacchino, di S. Luigi e i seppolcri dei Signori Ludovisi; e si finì il gettito nell’arrivarsi alla Chiesa vecchia della Nunziata, quale nella maggior parte si lasciò in piedi»22; vale a dire che, dopo sessant’anni dalla costruzione, caddero sotto il piccone tutta la navatella sinistra e tutta l’aibside; il resto rimase aperto al culto fino al 1560, quando, benché ancora non terminata, si aprì la nuova grande chiesa.

Quel che rimase della «vecchia chiesa» – ottantatre anni! –, ridotto a cereria ed a sbratto di Sant’Ignazio, oggi si trova in pieno abbandono, del tutto immeritato da quella che, insieme col «Gesù Vecchio» di Napoli (22 bis), non solo si contende l’onore di essere stata la prima delle innumerevoli chiese edificate in tutto il mondo dai gesuiti e, per giunta, costruita tutta e solo da essi, ma anche uno dei Mirabilia della Roma del ’500, nonché testimone di molti dei più preziosi ricordi di santità della primitiva Compagnia di Gesù. 

Mirabilia Urbis Romae

La Nunziata non era molto grande23. Stando alle riproduzioni dei Mirabilia e delle otto Carte di Roma che, più o meno fedelmente, la riportano24, la facciata risultava verticalmente divisa in tre scomparti, delimitati da due ordini di quattro paraste capitellate. Gli scomparti laterali, tanto in basso quanto in alto, erano occupati da nicchioni, mentre dei due centrali, in quello inferiore si apriva l’unico portale, ed in quello superiore si apriva un finestrone rotondo. L’interno comprendeva tre navate, o meglio, un’unica navata ad abside, senza crociera, con ricavate ai lati due cappelle per parte, dedicate a san Sebastiano ed al beato Luigi Gonzaga (ma solo nel 1620) quelle di destra, al Crocifisso e a san Francesco quelle di sinistra. Precedendo quello che poi doveva essere il Gesù, modello delle chiese «gesuitiche», anche la Nunziata non lesinò nel contributo esterno al culto divino, manifestazione e sussidio di quello interiore. Di fatto, tanto le lettere private dei contemporanei, gesuiti e non gesuiti, quanto i Mirabilia Urbis Romae – che erano per i devoti pellegrini del tempo quello che i Baedecker e le guide del Touring sono per i turisti di oggi – lodano molto sia l’architettura della chiesa, sia la ricchezza dell’ornato: in quadri, affreschi e marmi.

Abbiamo letto quel che ne scriveva il can. Del Sodo; ecco come ne riferiscono due guide del 1600:

«Della Chiesa non occorre a dir altro, perché se bene è picciola, quanto però sia vaga, e polita, ogn’un la vede, et anco è assai grande per il celebrare de quelli, che qui insegnano, et per ministrare i Sacramenti della confessione, e comunione agli scolari, oltre de molte Congregationi, che nelle feste si fanno da loro dentro del Collegio».
«Per picciola è tenuta una de le belle, e devote chiese di Roma... Vi è una testa dell’undici mila Vergini (?!), un’altra testa, e un osso grande de’ Santi soldati Tebei martiri (?!), un dente di S. Paolo (??!!), et altre reliquie di altri Santi. Vi sono cinque altari, de’ quali il maggiore ha una tribuna a volta, dov’è dipinta l’Annunciata ... gli altri hanno i suoi quadri fatti da diversi maestri; cioè del Crucifisso, della Madonna, di S. Bastiano e S. Francesco, è tenuta da suddetti di Giesù con molta politezza, et serve principalmente per le messe de’ Sacerdoti di quel Collegio e per ministrar i sacramenti della confessione, e communione alli scolari, ogni mese, e più spesso»25.

Cari ricordi di famiglia

Ma, più che le ricchezze materiali, o dell’arte, o delle presunte preziosissime reliquie, ci legano a quelle mura i santi autentici che le santificarono.

Primi, tra tutti, ricordiamo un’ultima volta i congregati, che, come s’è visto, cominciarono a frequentarla ancora fresca. E quivi certamente pregò il Leunis, quando nel 1574 tornò a Roma ad assisterli per circa tre mesi, chissà quanto rallegrandosi nel vedere il rigoglioso sviluppo del piccolo seme da lui gettato undici anni prima26.

Qui, dieci anni dopo, pregò l’ex principe di Gonzaga, Luigi. Infatti, dei tre anni che, fino alla sua morte, il santo passò al Collegio Romano (1587-1591), scrive il Cepari che «prima che si desse il segno della scuola, era solito di andare alla chiesa a visitare il Santissimo Sacramento, e lo stesso faceva ritornando in casa, tanto la mattina quanto la sera»27. Perciò bene nota lo Schroeder che «quelle pareti furono i taciti testimoni dei sospiri, delle preghiere da lui sparse innanzi a Dio, come il suolo raccolse tutte le lacrime che cadevano dai suoi occhi ogni qual volta assisteva alla S. Messa». Il quale poi conclude: «Siccome poi questa chiesetta era stata il suo oratorio prediletto... in vita, così doveva essere dopo la morte per lungo tempo il luogo di riposo, mentre essa ne raccolse le sacre ossa fino al 5 agosto 1649»28; e poteva pure aggiungere che quelle ossa santificarono materialmente tutta la chiesetta, perché nei cinquantotto anni di «riposo» che vi ebbero, contarono ben sei traslazioni.

Infatti, il 22 giugno, giorno dopo la sua morte, «collocato il suo corpo in una cassa di legno fatta a posta, fu seppellito nella chiesa dell’Annunziata del Collegio Romano, nella cappella del Crocifisso, ch’è a man sinistra nell’entrare in chiesa per la porta principale, in quello avello ch’è dalla parte del vangelo verso la strada», dov’era la sepoltura comune dei religiosi. Sette anni dopo, il 22 giugno 1598, «acciò in processo di tempo non si mescolassero con altri corpi, furono cavate le sue ossa da quella cassa e riposte in un’altra minore, la quale fu nel medesimo avello conficcata nel muro dal lato della via»; consiglio provvidenziale, perché fece sì che non finissero disperse dalla massima inondazione del Tevere, che il 24 dicembre di quello stesso anno fece salire l’acqua fino a m. 7,20 sopra il Porto-di Ripetta. Altri quattro anni, e «avendo cominciato Dio a notificare al mondo la sua santità con miracoli», l’8 giugno 1602, «il Padre Generale ordinò che fossero cavate le sue sante ossa da quella sepoltura, e riposte in altro luogo decente, separato dagli altri»; perciò «furono con gran segretezza cavate... e trasportate in sacrestia; il 1° luglio... furono collocate sotto la predella dell’altare di S. Sebastiano», di rimpetto alla cappella del Crocifisso. Ma Francesco Gonzaga, fratello del Santo, stimò poco decorosa quella sistemazione, e tre anni dopo ne ottenne una migliore da Clemente VIII. Quindi, ai 13 di maggio del 1605, sotto Paolo V «fu trasportato quel sacro deposito per mano di sacerdoti, con torce, e moltitudine di lumi, e musica, nella Cappella della Madonna», vale a dire nell’abside, «e sepolto nel muro sopra terra dalla banda del vangelo... E quivi riposano finora che questo scrivo — nota il biografo — quelle sacre ossa, coll’effigie del beato sopra, con molti voti attorno, con lampada sempre accesa, e con molto onore e concorso»29.

Ma il Cepari non nota le circostanze che accompagnarono questa traslazione, le quali certamente furono una delle cose meno ordinane avvenute nella Nunziata. Così, invece, il padre Schroeder le sunteggia dai processi apostolici:

«Tornato dal Vaticano si affrettò il Cardinale (Dietrichstein) alla volta della Chiesa... ed ivi recitò in ginocchio le ore canoniche. Poscia col Principe Francesco (Gonzaga)... portossi nella sacrestia, ed ivi dichiararono ai presenti esser giunto il permesso di appendere alla tomba di Luigi l’immagine, che se ne aveva nel Collegio. E poiché i Superiori, come suole accadere nei casi impreveduti, ancor indugiavano, il principe Francesco fece portare tosto sul luogo una scala, coll’aiuto dei suoi distaccò dalla parete l’immagine e la portò in sacrestia. Intanto il Cardinale aveva indossato il rocchetto; sicché venuto il principe portarono ambidue l’immagine nella Cappella della Madonna: ed ivi da un sacerdote fu appesa sopra la tomba. Ma il Cardinale non era ancor contento di ciò, epperò fece portare sul luogo tutte le tavolette votive, che fino allora si erano tenute nascoste nella sacrestia, e le appese in bell’ordine presso la tomba. Poi egli stesso all’altare della cappella, dove riposava Luigi, lesse la Messa dello Spirito Santo in rendimento di grazie... Per compire l’atto solenne, Clemente Chisoni appese innanzi all’immagine una lampada d’argento»30.

Dopo quella beatificazione equipollente, nel giugno seguirono, per otto giorni, le relative celebrazioni liturgiche, le più sontuose che la chiesetta abbia mai vissuto31. Naturalmente, capace ormai di culto pubblico, al beato Luigi nella stessa Nunziata fu dedicata un’ornatissima cappella, e precisamente la seconda a destra, quasi tutta ancora esistente32. Quivi, in ringraziamento della guarigione da due malattie mortali, Tiberio Lancellotti fece erigere il ricchissimo e bellissimo altare di marmi policromi ammirato e lodato, come subito vedremo, anche da san Giovanni Berchmans, e che tutt’oggi si può ammirare nella sacrestia di Sant’Ignazio33. E sotto questo altare, il 15 giugno 1620, furono deposte le spoglie del beato nella loro quinta traslazione; e da esso mossero nell’ultima, del 5 agosto 1649, quando le accolse la nuova chiesa di Sant’Ignazio34.

* * *

«Nel giorno nel quale si fece la traslazione del corpo di questo Santo dalla cappella della Madonna, ove stava, alla cappella nuova ad onore di lui dedicata — scrive il padre Cepari — ... Giovanni nostro era uno di quelli che portava i candelieri»35. Ora, «Giovanni nostro» non è altri che il fiammingo Giovanni Berchmans, giunto nel Collegio Romano il 2 gennaio 1619 e restatovi ininterrottamente per trentun mesi fino alla santa morte. Su di lui il devoto biografo continua riferendo che il giovane frequentava regolarmente la Nunziata, per ascoltarvi, secondo l’obbligo di regola, la predica e la lezione sacra quando vi si faceva, oltre che per le solite visite libere quando egli serviva a tavola: «Finito di servire alla prima (tavola), subito se ne andava in chiesa per salutare il S.mo Sacramento».

Certo, è commovente vedere Giovanni ripetere, tutto preciso, l’itinerario già seguito da Luigi dal refettorio alla chiesa. Tuttavia, le visite del Berchmans avevano una variante: «Sempre che entrava in Chiesa a visitare il Santissimo Sacramento, soleva visitare di poi la cappella del beato Luigi, ov’è il suo corpo riposto sotto l’altare». Anzi, avanti a questo altare egli rinnovò le ultime due o tre volte i suoi voti religiosi, così scrivendone egli stesso ad un suo confratello belga nel principio del 1621: «Il molto reverendo Padre Generale ha concesso che la rinnovazione dei voti, che finora si faceva nel giorno di S. Maria Maddalena (22 luglio), d’ora in avanti si faccia nella festa sua (del beato Luigi). In questo giorno tre giovani della primaria nobiltà sogliono recitare nella chiesa del Collegio Romano presso la sua cappella, ricca di un meraviglioso altare marmoreo, avanti a cardinali, un sermone in latino, in greco e una poesia»36.

Morto «Giovanni nostro» il 13 agosto 1621, nei funerali che vi seguirono, la chiesetta fu teatro, questa volta, di un vero tumulto di indiscreta pietà. Narra, infatti, il biografo, che i superiori disposero

«che in tempo dell’officio, quattro sacerdoti determinati stessero vicino al cataletto, per impedire, in caso di bisogno, che la indiscreta divozione del popolo non ardisse di far violenza per accostarsi al corpo; e così fu eseguito». Ma invano, perché «tutti i fiori, ch’erano stati sparsi sopra del corpo, furono presi e portati via. Gli fu levato un Crocifisso piccolo, che con la corona teneva in mano, la berretta, le pianelle e più volte gli fu cambiata la corona... Dovendosi cominciare [l’officio], si aprì la chiesa, ed entrò gran gente. Nel principio passarono le cose con quiete, ma poi, con occasione di accostarsi i secolari per baciargli la mano e toccarlo con le corone, cominciarono a tagliare la veste, e si fece a poco a poco tal folla, che non solo non bastavano quattro persone, ma né anco dieci erano sufficienti a reprimere la furia del popolo... Finito l’officio, fu necessario riportare il corpo in sacrestia, perché la devozione del popolo l’aveva lasciato quasi ignudo... Fu bisogno poi riportarlo di nuovo più volte in chiesa, per dar soddisfazione a varie Signore, che vi erano accorse... Nel giorno seguente, che fu sabato e vigilia dell’Assunzione... per soddisfare alla religiosa devozione (della gente) fu necessario trattenerlo sopra terra fino alla sera; nella quale si vide che non solo di bel nuovo gli avevano tagliata la veste, ma di più le unghie, i capelli ed un dito del piede; imperocché ognuno, partendo, procurava di portar seco qualche cosa del suo per reliquia».

Ma, per quanto verista, la descrizione del Cepari resta ben lontana dalla verità, quale risulta dai processi canonici, così riportata dal Cros37:

«La parola “miracolo, miracolo!” gettata come una scintilla e ripetuta da mille bocche, suscitò un immenso clamore confuso, in mezzo a cui si perse, soffocato, il canto dei sacerdoti. Gli abiti di Giovanni furono messi a brandelli, con tanta avidità che il corpo del Santo, tirato di qua e di là, ondeggiò e stava per cadere dalla bara. A costo di fatiche inaudite si riuscì a gettare su quel corpo, mezzo spogliato, una coperta funebre; ma fu presto, anche essa, fatta a brani. Terminato l’ufficio, si trattava di strapparlo alla indiscreta divozione del popolo. Lo si voleva portare nella Cappella della Madonna, sperando che la balaustra gli servirebbe di protezione. Ma la folla, indovinata la mossa, invase la cappella. Si ebbe allora la presenza di spirito di approfittare di quel falso movimento per portarlo subito in sacrestia e sbarrarne le porte. Là, fu vestito di nuovo; e appunto allora si notò che gli si era strappato un dito del piede... Durante la sera il corpo fu riportato parecchie volte ancora dalla sacrestia alla chiesa, tanto era grande il numero di coloro che domandavano di vedere e rivedere quella santa spoglia».

E, come quella del Gonzaga, anche la salma del Berchmans contribuì a santificare le mura della chiesetta. Infatti, la sera di quel travagliato 14 agosto – continua il Cepari – fu posta «prima in una sepoltura nuova della cappella del beato Luigi Gonzaga, nella quale non era stato fino a quel tempo posto veruno, e poi trasportata in un’altra sepoltura comune nella cappella del Crocifisso, dove per alcuni anni era stato il corpo di Luigi»38; e qui rimase per cinque anni, fin quando cioè, nel 1626, abbattendosi tutta la navata sinistra della Nunziata, fu trasportata nella cappella di S. Giuseppe nel nuovo tempio, ove nel 1649, come abbiamo detto, prese posto anche quella di Luigi39.

* * *

Ancora un caro ricordo di famiglia: san Roberto Bellarmino. Egli arrivò al Collegio Romano dopo solo ventidue giorni di noviziato, l’11 ottobre 1560, per ripartirne tre anni dopo, verso la metà di ottobre del 1563. Quindi è probabile che sia stato presente alla prima «congregatione» del Leunis. Vi tornò il 26 dicembre 1576, per cominciarvi il corso di controversie, e vi restò fino al novembre 1594, per circa ventotto anni (tolto l’anno del suo viaggio in Francia: 2 ott. 1589 – 11 nov. 1590, e l’anno passato a Frascati e a Zagarolo), disimpegnando, tra l’altro, l’ufficio di tenere le conferenze spirituali alla comunità, e poi, come padre spirituale, di tenervi le esortazioni, naturalmente nella chiesetta della Nunziata.

Appunto come padre spirituale avvennero, nell’ultimo anno di vita di Luigi – dal novembre 1590 al giugno 1591 – i suoi incontri col santo40, e si radicò l’amicizia con lui. Egli ne raccomandò l’anima un’ora prima che il santo morisse; s’interessò perché la salma, contro l’uso dell’ordine, venisse custodita in una cassa; poi, non tralasciò mai di venire alla Nunziata ogni anno, ai 21 giugno, per venerare il sepolcro del suo figliuolo spirituale; e ciò anche dopo che fu insignito della porpora cardinalizia. In particolare si ricorda che ancora nel 1608 vi si recò per tenervi un lungo discorso alla comunità in lode di Luigi.

* * *

Certo, è augurabile che il quarto centenario delle prime origini della Prima Primaria arrechi frutti di santità e di apostolato ben più sostanziosi di quanto non possa essere l’affettuoso nostro riandare verso le persone ed i luoghi a quelle connessi. Tuttavia osiamo sperare che queste nostre pagine contribuiscano a salvare da un oblio immeritato un luogo per tanti versi congiunto con quell’esplodere di santità apostolica e di ardire costruttivo che fu il primo Collegio Romano, patrimonio, poi, come anche le Congregazioni Mariane, non tanto di una famiglia religiosa, per quanto benemerita, ma di tutta la Chiesa.

 

 

G. TRISTANO, Facciata della Nunziata del Collegio Romano (Da Le cose meravigliose di Roma, di G. FRANCINO, 1600, p. 76).

 

* Cfr Civ. Catt. 1963, II, 248-260.

1 Cfr i due documenti in MULLAN, nn. 508 ss., 541 ss.; i due luoghi particolari sono ai nn. 531 e 556.

2 Ivi, nn. 509, 512 e 543.

3 Dunque, per quanto tutto porti a crederlo, non è del tutto certo che il primo nucleo del Leunis sia stato specificamente mariano. Il p. VILLARET (p. 327 ss.) tenta provarlo, ma con argomenti non risolutivi. Certo, se è vero che la testimonianza del Malevolta, del 14 luglio 1564, non esclude il 1563, resta strano che lo scrivente ricordi l’altarino avanti al quale i primi congregati si radunarono, e non dice a chi l’altare fosse dedicato. Si direbbe che la circostanza gli sia parsa non essenziale rispetto ai fatti narrati.

4 Dagli Statuti della Ven. Arciconf. della SS.ma Nunziata, Roma 1614, Prefazione; riportato da A. ZUCCHI, Roma domenicana, II, pp. 76-77. – Buone notizie della «Compagnia» anche in Roma antica e moderna, Franzini, 1668, p. 175.
La cappella della Compagnia era, entrando nella Minerva, la quarta a destra, dov’è la lapide e il busto in bronzo del Torquemada. Dal 1637 la sede fu avanti a S. Chiara, nella casa dove era morta santa Caterina da Siena, in un «oratorio della confraternita dell’Annunziata», per la quale cfr ARMELLINI - CECCHELLI, Le chiese di Roma, Roma 1942, p. 1250, ed. A. ZUCCHI, op. cit., p. 76 ss. – La «compagnia» cessò del tutto nel 1870, quando il nuovo Stato italiano le confiscò tutti i beni.

5 Per la descrizione di questa cavalcata cfr MORONI, Dizionario, VIII, pp. 149 ss., dove anche si nota che la Cappella papale ebbe origine molto prima, da Eugenio IV, «che primo celebrolla in detta chiesa di S. Maria sopra Minerva, nella cui sagrestia era stato eletto pontefice a’ 3 di marzo 1431». Anche PARIDE DE GRASSI ne parla nel suo diario, ai 12 aprile 1510.

6 Lo strumento è riportato in gran parte in RINALDI, pp. 133-136.

7 Ivi, pp. 134-135.

8 Basti rilevare tutta la sodisfazione che dell’affare concluso traspare negli appunti stesi dal contemporaneo autore di De Collegio Romano 1551-1561 (RINALDI, 67). – Quale architetto la marchesa abbia incaricato dei piani della chiesa non si sa; ma una notizia, forse, potrebbe mettere sulle sue tracce. «Fra le carte attribuite all’architetto topografo Bartolomeo dei Rocchi di Brianza, conservate negli Uffizi di Firenze, quella col n. 4180 contiene la pianta geometrica, misurata con tutta diligenza, del quartiere occupato poi dal Collegio Romano, con progetto di costruzione di una chiesa e di un monastero» (Bullettino della commissione archeologica comunale di Roma, Roma 1883, pp. 50).

9 Sui fratelli Tristano, cfr il capitale e definitivo studio di PIETRO PIRRI S.I.: Giovanni Tristano e i primordi dell’architettura gesuitica, Roma 1955, che qui largamente utilizziamo.

10 POLANCI, I, 316 e 319.

11 POLANCI, I, 373 e 37.

12 POLANCI, I, 419.

13 POLANCI, I, 470.

14 POLANCI, II, 641.

15 Ancora per la munificenza della Marchesa della Tolfa, «la quale ha dato etiam il necessario per la dipentura della cappella maggiore» (POLANCI, II, 12).

16 POLANCI, II, 12.

17 «In sacello quod intra collegium habent » (POLANCI, I, 471).

18 POLANCI, I, 326.

19 POLANCI, II, 87-88

20 È nel Catalogo della Chiese di Roma (Bibl. Vatic. Lat. 11.911, p. 24), riportata da ARMELLINI - CECCHELLI, op. cit., p. 1343.

21 Origini, p. 113, in RINALDI, p. 116.

22 Oltre a La Nunziata del Collegio Ronzano, la chiesetta si chiamò anche La Nunziata al Camilliano, dal nome della contrada; la quale a sua volta l’aveva preso da un rudere romano che allora sporgeva sull’odierna Piazza del Collegio Romano, e che portò il nome di Arco Maggiore, o Arco di Camillo (cfr ARMELLINI - CECCHELLI, op. cit., pp. 581-582). Nel 1625 c’era ancora (cfr CEPARI - SCHROEDER, Vita di S. Luigi Gonzaga, 1891, p. 390, n. 34).

22 bis. Il «Gesù vecchio» di Napoli, cominciato nel 1557, fu terminato nel 1567, e qualche decennio dopo (1613), come la Nunziata, anch’esso venne per la maggior parte abbattuto, per far posto ad una chiesa più capace. Fortuna che nel buon architetto Giovanni Tristano, al dire del Sacchini, «l’edificazione della sua umiltà, mitezza, obbedienza, spirito di preghiera e di ogni altra religiosa virtù, superava di gran lunga quella delle sue fabbriche»! Del resto, tra le chiese dovute, in tutto o in parte, alla sua arte ed opera, restano ancora: il Gesù di Palermo, il Gesù dì Forlì, il Gesù di Ferrara, il Gesù di Perugia e lo stesso Gesù dì Roma (PIRRI, op. cit., passim).

23 Secondo misure prese su quel che ne resta, la chiesa, senza i locali attigui all’abside, misurava sui 253 m², di cui 147 della navata, abside compresa. L’insieme doveva apparire piuttosto tozzo perché la larghezza (m. 16,70) era eccessiva rispetto alla lunghezza (m. 19,87 compresa l’abside). Cfr anche CEPARI - SCHROEDER, op. cit., p. 390, n. 34).

24 Cfr Le piante di Roma, a cura di A.P. FRUTAZ, Roma 1962, voll. II e III, tavv. 232, 244, 250, 265 e 275, 289, 300, 315, 325. – P. PIRRI, op. cit., tav. IV di p. 27, riporta la riproduzione del disegno originale di G. Tristano, sia della facciata sia di una fiancata interna della Nunziata (ripreso dalla Estense di Modena, Cod. Campori, I, I, 50). Secondo P. PIRRI (op. cit., pp. 163-166), il disegno appare non scevro di influssi michelangioleschi e dipenderebbe dal V dei Sette libri di architettura, di SEBASTIANO SERLIO, uscito a Venezia nel 1551.

25 OTTAVIO PANCIROLI, I tesori nascosti nell’Alma città di Roma, Roma 1600, p. 469; e GIROLAMO FRANCINI, Le cose meravigliose dell’alma città di Roma anfiteatro del mondo, Roma 1600, pp. 76-77.

26 Infatti, nell’estate dello stesso anno, il Leunis veniva rinviato a Parigi. Moriva poi a Torino il 19 nov. 1584, e fu il primo ad essere sepolto nella chiesa dei SS. Martiri (cfr J. WICKI e R. DENDAL, Le P. Leunis S.I. [1532-1584], Roma 1961).

27 Il santo giunse al Collegio Romano, ancora novizio, nel maggio del 1587, per studiarvi filosofia e teologia, e vi morì il 21 giugno 1591. Tolte quindi le parentesi dei sette mesi e mezzo d’assenza del viaggio a Mantova (12 sett. 1589 - maggio 1590), della dimora a Napoli e delle vacanze estive passate nella villa di Frascati, ci passò complessivamente tre anni. Tuttavia, di alcuni suoi fatti più significativi furono testimoni altri santuari romani. Per esempio, i voti religiosi li fece (25 nov. 1587) «nella cappella della nuova abitazione, che è sopra le scuole del Collegio Romano»; la tonsura e gli ordini minori (febbr.-marzo 1588) li ebbe in S. Giovanni in Laterano (CEPARl, Vita di San Luigi Gonzaga, cap. XII).

28 CEPARI – SCHROEDER, op. cit., p. 393.

29 CEPARI, op. cit., p. II, cap. XXXII. Questa \’ita il Cepari la pubblicò nel 1606.

30 CEPARI – SCHROEDER, op. cit., p. 280.

31 Nota lo SCHROEDER (ivi) che nel maggio 1605 il papa Paolo V aveva solo dato il permesso di fare appendere sopra la tomba l’immagine di Luigi con l’aureola; solo nel concistoro del 26 sett. 1605, gli decretò solennemente ,il titolo di beato. E lo stesso diligentissimo biografo così descrive le feste: «Tutta la chiesa del Collegio Romano il 21 giugno fu rivestita di preziosi addobbi, sui quali spiccavano molti emblemi e stemmi di ogni genere collocati a disegno, e tutto intorno al cornicione della chiesa girava una fascia con sopra un’iscrizione esprimente la dedica delle feste ed onoranze nei seguenti termini: "Beato Aloysio Gonzagae, Sacri lmperii Principi, Marchioni Castellionis, e Societate Jesu, qui generis nobilitatem auxit gloria meritorum, sanctorum gloriam vitae sanctitate aequavit, multorum sanctitatem summa innocentia superavit, ambae Humanitatis Classes, Legati Caesarei nomine posuerunt”. La cappella della Madonna, in cui era il sepolcro del Santo, adorna di preziosi drappi sfavillava tutta d’oro e d’argento, come pure l’immagine del Santo posta sotto un baldacchino sfolgoreggiante di luce dorata. Innanzi all’altare spiegavasi un ricchissimo tappeto, ov’erano intessute le parole seguenti: “Qui riposano le ceneri del B. Luigi Gonzaga d.C.d.G.”, e il nome di Gesù formato in lettere d’oro, riluceva sopra l’iscrizione, al disotto della quale si vedeva lo stemma dei Gonzaga di Castiglione. Nel giorno della festa, nella cappella del sepolcro fin dal mattino cominciarono a succedersi per tempissimo le messe in ringraziamento a Dio per l’esaltazione del suo servo Luigi. Il popolo si affollava alla comunione e alla venerazione del Santo. Né solo il popolo; ma eziando i Cardinali, Duchi, Principi e Legati di quasi tutte le potenze cattoliche si trovarono presenti per onorare il novello Beato. Durò otto giorni la festa, nei quali fu sempre piena la chiesa di devoti».

32 Sulla cappella si alza una cupola riccamente ornata e dipinta. Nei quattro pennacchi porta le figure della Pietà e della Preghiera (donna che guarda in alto, mentre con la sinistra solleva un incensiere), della Povertà (donna che calpesta una corona principesca ed una mitra), della Castità (donna che accoglie un unicornio), e dell’Ubbidienza (donna che, con la destra, sostiene una bilancia e con la sinistra indica il cielo). Il concavo della cupola porta quattro scomparti, con ivi figurati quattro momenti della vita del santo. Nel primo è il santo ragazzo che prega e si flagella avanti ad un’immagine della Madonna; nel secondo il santo, già religioso, prega sull’ingresso di una chiesa (che con tutta probabilità riproduce quello stesso della Nunziata); nel terzo, il santo che lava i piedi ad un povero, e nel quarto il santo che muore assistito dai confratelli. Tra i riquadri, quattro ovoidi con puttini; stucchi rilevati circondano il nome di Gesù al centro, ed irraggiano separando gli otto tra scomparti ed ovoidi (CEPARI – SCHROEDER ne porta la descrizione ed il cliché, op. cit., pp. 394 e 292).

33 L’altare portava un quadro di san Luigi Gonzaga che «ora (1891) si trova alla Gregoriana» (cfr CEPARI – SCHROEDER, op. cit., p. 391).

34 Nella nuova chiesa le spoglie furono poste sotto l’altare dell’odierna cappella di S. Giuseppe (che occupa il posto della stanza dove Luigi morì), e qui rimasero fino al 20 dic. 1699, quando, terminata la splendida cappella odierna di S. Luigi, nuovo dono della famiglia Lancellotti, furono allogate nell’urna di lapislazzolo sotto l’altare (cfr P. TACCHI VENTURI, Le sei traslazioni delle reliquie di S. Luigi Gonzaga, in «S. Luigi», nov. 1926, pp. 156-159).

35 CEPARI, Vita di San Giovanni Berchmans, parte II, capp. 6, 16 e 21, dove si trovano anche i passi che seguono; il racconto dei funerali è invece alla parte III, capp. IX e X.

36 T. SEVERIN, S. Jean Berchmans, Ses écrits, Lovanio 1931, pp. 89-90. L’originale è in latino: «... concessit R.A.P.N. Generalis, ut votorum renovatio, quae alias in S. Mariae Magdalenae, nunc in festo ipsius fiat. Quo tempore a tribus nobilissimis adulescentibus in templo Collegii Romani ad sacellum ipsius, quod e marmore praestantissimo magnifice exstructum est, oratio latina, graeca et poema coram Cardinalibus recitari solet».

37 L.J.M. CROS, Vita di San Giovanni Berchmans, Torino 1921, pp. 414 ss.

38 Pare che sia restato vicino a san Luigi soltanto due giorni. Fu il padre generale Muzio Vitelleschi che, «per mettere un freno al culto indiscreto, di cui era divenuto oggetto, lo fece trasportare... nella sepoltura ordinaria della comunità» (CROS, op. cit., p. 416).

39 Quivi i due santi restarono insieme per trentasei anni. Infatti, ultimata la nuova chiesa nel 1685, la salma di Giovanni fu trasportata nella sepoltura comune del Collegio Romano, al centro della stessa, donde l’11 maggio 1865 fu tolta per venire deposta definitivamente sotto l’altare dell’Annunciata, di fronte e gemello a quello di san Luigi.

40 E quindi anche con altri giovani gesuiti, che, al dire dello stesso Bellarmino, in santità non furono inferiori a Luigi, secondo quanto ne riferisce DANIELLO BARTOLI (Vita di Roberto Cardinal Bellarmino, Roma 1678, p. 131): «Io, per domandarne che ho fatto fin da forse trent’anni addietro a più d’uno de’ nostri d’assai lunga età, sono stato certificato d’esser vero quel di che correa voce, il Bellarmino, in una delle spirituali esortazioni che tal volta, etiandio Cardinale, solea fare a’ Nostri del Collegio Romano, adunati a sentirlo nella loro piccola Chiesa che in que’ tempi era la Nuntiata; haver detto, in quella sepoltura, additando la propria dove i giovani della Compagnia defunti si sotterravano, haverne di quegli, che quanto si è ad innocenza, ed interior santità, a perfettione, e merito di virtù, egli giudicava essere stati uguali al B. Luigi».

In argomento

Chiesa

n. 2484, vol. IV (1953), pp. 694-697