NOTE
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1 Musta, un centro che al tempo della costruzione della chiesa contava sì e no tremila abitanti, ha una Rotonda che, per grandezza, è la terza del mondo, dopo quella di San Pietro e del Pantheon di Roma.

2 Recentemente una colletta tra i pescatori di un solo paese ha fruttato più di 1.500 sterline, pari a circa due milioni di lire!

3 Ci è stato riferito che un terreno fabbricabile, del resto ottimamente ubicato, presso La Sliema, restò per lungo tempo senza acquirenti perché vi mancava una chiesa, e che fu invece rapidamente venduto appena la chiesa vi fu costruita.

4 Esclusi i circa diecimila della guarnigione inglese.

5 Una curiosità: a Gozo c’è una prigione, ma è sempre chiusa per mancanza di inquilini...

6 Circa 50.000 in questi ultimi dieci anni si sono trasferiti in Australia, Canadà, Stati Uniti, Inghilterra.

7 Tanto se emigrati in paesi cattolici, ma poco praticanti, quanto se in paesi protestanti o pagani. Di qui alcune recenti esperienze che tendono alla costituzione di nuclei omogenei, con propria assistenza spirituale, meglio resistenti contro le suggestioni dell’ambiente e i suoi diminuiti comodi religiosi: andare in chiesa più volte al giorno può non costare a chi la chiesa è abituato ad averla a due passi da casa, ma quando fosse lontana qualche centinaio di metri o qualche chilometro?

8 Questo vale non solamente nella grande emigrazione esterna ma anche in quel processo di inurbamento che agglomera, specialmente nella periferia di Roma, impressionanti masse di dissestati. Eppure qualche volta si tratta di famiglie provenienti dalle più religiose regioni d’Italia.

9 Ci riferiamo non tanto alle violente trasformazioni causate dall’industrializzazione, per esempio, nel Congo, nella Rodesia, nell’India e in alcune repubbliche sudamericane, quanto a quelle sia pure più modeste verificatesi in casa nostra: paeselli della Sardegna, dell’Abruzzo e della Sicilia, che di punto in bianco vedono rivoluzionato il loro millenario ritmo di vita dal sorgere di un’industria, spiagge del napoletano e della Liguria, da ieri a oggi mutate da romantiche oasi di quiete in festivaleschi luoghi alla moda, pulite valli alpine subitamente attraversate da strade di grande comunicazione, frazioni moralmente terremotate dall’impianto di un albergo, di un’officina o, semplicemente, di un cinema...

10 Per la trattazione di questo problema, dr R. LOMBARDI S.I.: Per un mondo migliore, Roma 1954, pp. 225 ss., 272 ss. In particolare, per i danni gravissimi che la tragica scarsezza del clero causa nelle repubbliche dell’America latina, cfr Civ. Catt. 1955, III, 462 ss. Qualche cosa di bello dai maltesi in questo senso già si fa: una diocesi in India è affidata ai cappuccini maltesi, una missione nel Santal ai gesuiti; maltesi carmelitani lavorano in una diocesi del Perù; numerose suore maltesi si trovano disseminate un po’ dappertutto nel mondo: Brasile, Abissinia, Giappone, Australia, Lussemburgo, Italia, Pakistan, Birmania, Palestina, Algeria, Tunisia, Francia...

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Articolo estratto dal volume III del 1955 pubblicato su Google Libri.

Il testo è stato corretto dai refusi di stampa e formattato in modo uniforme con gli altri documenti dell’archivio.

I riferimenti ai documenti del magistero pontificio sono stati resi interattivi e portano al sito del progetto “Chiesa e Comunicazione”, la biblioteca digitale online che prosegue l’attività iniziata da p. Baragli con le opere Cinema cattolico: documenti della Santa Sede sul cinema e Comunicazione Comunione e Chiesa.

ARTICOLO SU

Il turista che si reca a Malta si prepari a molte gradevoli sorprese.

La prima l’ha dal mare, quando, quella che di lontano gli sembrava una landa senza rilievo e senza vita, di colpo, all’entrare nel porto, nel sole scintillante del mattino, mostra la capitale Valletta trionfalmente digradante a promontorio nel bel mezzo di uno dei più spettacolari golfi del mondo. Bastioni e casematte, spalti, masti e torrioni s’inseguono quasi ininterrottamente dal Forte Tignè al Forte Ricasoli (le due scolte che ne vigilano l’ingresso), si arrampicano, scavalcandosi, a destra e a sinistra della Valletta, sui fianchi della Sliema e della Vittoriosa e sullo stesso promontorio centrale, incorniciano di ruggine e di paglierino l’acquamarina delle profonde insenature e il grigio perla delle numerose navi alla fonda.

Un’altra sorpresa l’ha appena pone piede sulla terra, quando, ad appena novanta chilometri dalla Sicilia, si ritrova in oriente. Casette bianche, dalle finestre piccole e senza persiane, dalle porte basse, riparate da stuoie; stradette calcinate dal sole, infossate in una serie infinita di muretti a secco, che o sostengono la terra dei gradoni ricavati sul declivo delle colline, o dividono gli appezzamenti in trapezi di pochi metri quadri. Se li osservi orizzontalmente da un fondovalle ti richiamano alla mente i ruderi che ancora segnano la pianta delle antiche case negli scavi di Ostia; se le guardi dal basso, vedi le collinette trasformate in unici cumuli di macerie, su cui si poggiano paesetti orientali, fatti da cubi albicci traforati dal nero degli archi e delle finestre vuote; solamente qualche albero di alto fusto: solitarie araucarie, carrubi, palme e contorte xerofite, e i rosoni rotanti dei sollevatori d’acqua suggeriscono la presenza della vita nel paesaggio riarso. Ma se sali su una delle piattaforme che, specialmente a Gozo, troncano le colline dai fianchi scoscesi come ambe abissine, o, meglio, se le sorvoli con l’aereo, tutt’altro è il paesaggio che ti riservano le isole; muri e muretti spariscono e tutto diventa uno scacchiere policromo, anzi un tessuto connettivo, in cui i legamenti bianchi delle strade, che s’intersecano nei noduli bianchi dei paeselli e dei borghi, dividono il verde tenero del frumento dal verde cupo dei fichidindia, allineati a siepe o a frangivento, l’amaranto dell’erba sulla dal bianco del cumino e dal sanguigno dei campi arati...: insomma, almeno nella stagione bella, un paesaggio di vita e di colori invece di un macereto risecco. Ma siccome la vista dall’aereo dura pochi minuti, e sulle ambe non ci vive nessuno, il paesaggio d’ogni giorno è quello della Palestina o della Siria, sicché non ti meravigli se i ragazzetti, che a frotte incontri per le strade, ed anche i giovanotti, interrogati, non capiscono il tuo italiano, e ti rispondono, quando non in un inglese coloniale, in un maltese che ha tutte le A e tutte le aspirate del più bell’arabo.

Parlano le pietre

Una terza, e non ultima, sorpresa il turista l’ha quando, “leggendo” le pietre di Malta, si avvede di fare come una ricapitolazione di tutta la storia della civiltà europea. Infatti, posta all’incrocio delle vie marittime che univano la Grecia alla Tunisia, la Sicilia all’Africa e, da ottantasei anni, uniscono l’Atlantico al Mar Rosso, tutte le epoche vi hanno impresso la loro orma, sì da farne, come Roma, uno dei paesi della terra più carichi di storia; ed oggi appunto le sue pietre restano come un libro aperto, dalle pagine via via più vetuste mano mano che passano da esteriori e superficiali a inaccessibili e profonde.

Le costruzioni più nuove, che specialmente nella zona del porto occupano vasti quartieri, qua e là a fianco di rovine ancora non rimosse e di novissime applicazioni del cemento armato, ricordano le recenti inutili prodezze degli Stukas e dei “picchiatelli”; poche lapidi dalle iscrizioni ancora non patinate dal tempo e gli anacronistici nomi inglesi della toponomastica, soprascritti a quelli italiani, che riaffiorano di sotto le scrostature della calce recente, dicono che nel 1798 l’Inghilterra occupò l’isola in nome... del re di Napoli e che tuttora vi tutela non solo gli interessi del suo commercio e della sua politica, ma, a suo modo, anche quelli della cultura, non tanto però da cancellare le vestigia che vi lasciarono l’Italia e l’ordine religioso e militare che ancor oggi ne porta il nome glorioso. Se ti aggiri nelle vie, ti si fanno incontro, venerandi e imponenti, gli “alberghi”, delle diverse “lingue”: di Castiglia e d’Aragona, d’Italia e di Baviera, d’Alvemia, di Francia e di Provenza, la “Sacra infermeria” dell’Ordine e i palazzi della Castellana e del GranMaestro, la chiesa del protettore San Giovanni, massiccia come una fortezza... Tu li guardi e vai col pensiero meditando sulle vicende che per due secoli e mezzo fecero di Malta l’antemurale dell’Europa cristiana e cavalleresca. Qui nel 1530, dopo la caduta di Rodi, approdava il gran maestro Filippo Villiers de l’Isle Adam; qui gli ingegneri italiani Piccino e Ferramolino, Pardo e Bellavanti, Genga di Urbino e Lance di Firenze, Quinsani di Montalcino e Menga delle Puglie edificavano i forti di Borgo e di Sant’Angelo, Sant’Elmo e San Michele, che nel 1565, sotto la condotta del leggendario Jean de la Valette, sostennero «il grande assedio» di Mustafà Pascià, e lo coronarono, dopo quattro mesi terribili, con l’ingloriosa ritirata della flotta turca; di qui nel 1571 partivano alla volta di Lepanto le navi crociate, e qui si accumulavano, terminate le opere di guerra, le opere di pace degli artisti italiani: Michelangelo di Caravaggio, Mattia Preti, Andrea del Sarto, Alessandro Algardi, Guido Reni..., che dovettero trasformare Malta in una favolosa isola del tesoro se tanto ancora vale il poco che ne sfuggì al sacrilego latrocinio del Buonaparte nel 1798!

Ma se entri in San Giovanni, come non fremere di orgoglio e di commozione leggendo sotto i tuoi passi gli intestatari delle quattrocento lapidi intarsiate che ne coprono il pavimento, o passando in rivista i monumenti e i cenotafi che si allineano lungo le pareti o giacciono nell’ombra raccolta della cripta? Vilhena e Pinto, Cottoner e Despuig, De Paula e Lascaris, De Wignacourt e De Rohan, Gonzaga, Carafa, Rospigliosi, Doria, Zondadari, Visconti, Spinola, Piccolomini, Medici, Strozzi...: tutti i più bei nomi della nobiltà europea ed italiana vi sono allineati in onorata parata di cavalieri, morti da secoli e oggi più vivi che mai, tanto riempiono ancora del loro ricordo l’isola che fu teatro delle loro gesta virtuose.

Ancora pietre, vale a dire edifici di puro stile siculo normanno testimoniano la secolare unione di Malta con la Sicilia succeduta alla dominazione araba, a sua volta testimoniata – se non bastasse il dialetto oggi parlato dagli isolani – da pietre con iscrizioni cufiche; sempre nelle pietre è rimasta la memoria dell’avvenimento che più onora Malta: l’arrivo e il soggiorno dell’apostolo san Paolo in viaggio per Roma (Act. 28,1-10). Al Rabato, presso la Notabile, non molto distante dalla Grotta San Paolo, dove l’apostolo avrebbe dimorato, il visitatore può scendere nelle catacombe e scorgervi le tracce della sua evangelizzazione, e sulla Baia San Paolo, a nord dell’isola, può bere dell’acqua che la tradizione vuole sgorgata miracolosamente dalla roccia su preghiera dell’apostolo, e venerare la grande statua del santo, che sull’isoletta di Selmunett indica il punto preciso del suo naufragio.

Oltre quest’epoca, per continuare la sua lettura, il turista deve ricorrere alla guida dell’archeologo, perché solo nella visione diretta degli scavi o degli oggetti repèrtivi, per la maggior parte collezionati nel museo della Valletta, può rendersi conto del volgersi dei secoli e dei millenni, impressi in sottili giacimenti sovrapposti. Anfore, statue, monete, musaici dei secoli III-I a.C.: ecco le tracce della dominazione romana, delle guerre puniche e delle malversazioni verrine; lebeti, sarcofagi ed urne cinerarie, anni e suppellettili puniche, cippi greco fenici dei secoli V-IV a.C.: qui vissero e morirono, amarono ed odiarono prima i fenici e poi i cartaginesi; cuspidi per la caccia ed utensili ci riportano all’età del bronzo, duemila anni a.C.; enormi pietre decorate e scolpite, che segnano i passaggi e le absidi dei tempi megalitici di Tarscen, di Hagiar Kim e di Gigantea, ipogeo di Hai Saflieni, che, sprofondando quattordici metri sotto il suolo, si dirama in ingegnosi e misteriosi ricettacoli, santuari, tombe, scale e trabocchetti: statue, amuleti e coppe trovativi ci riportano al terzo millennio avanti Cristo, prima ancora della civiltà micenea, quando per il resto dell’Europa l’arte dell’uomo del neolitico non andava oltre gli elementari Dolmen e i rozzissimi Menhir. Infine i due denti dell’Homo Neanderthalensis, trovati nelle grotte di Ghar Dalam, e i suoi depositi pleistocenici, ricchissimi di fossili di elefanti, ippopotami, cervi e tartarughe giganti, chiudono il libro della storia umana ed aprono quello della geologia, che a Malta, nei frequenti strapiombi costieri, nelle cavità doliniformi, nelle caverne e nelle fessure ossifere, mostra aperte le sue pagine, come se un vento furioso, forzate le vetrate di una polverosa biblioteca, ne avesse sconvolto gli scaffali, abbandonando alla curiosità dei profani i segreti della cultura...

La vita cattolica

Ma non creda il lettore che Malta sia un museo, ricco solo di nature morte e di reliquie del passato, ché anzi il visitatore vi trova vivissima e onnipresente una realtà la quale, ahimè, in troppe parti d’Europa è quasi morta ed assente: la vita cattolica fiorentissima; ed è questa la sua più gradevole e duratura sorpresa, come quella che gli appaga non tanto una curiosità di turista o una sete di scienziato, quanto un voto di credente. Naturalmente, quello che prima colpisce, perché più immediato, sono le manifestazioni più esteriori della religiosità: vedere gli adulti salutare i sacerdoti con un riverente: «Benedizioni!»; i piccoli accorrere familiarmente presso di essi per riceverne la imposizione delle mani; un grande Crocifisso, circondato da una luminaria di candele, troneggiare nel bel mezzo del mercato, le immagini del Sacro Cuore e della Madonna, vegliate da lampadine, consacrare gli autobus pubblici, spesso inquadrate nell’iscrizione sacra: Et Verbum caro factum est!; vedere passeggeri farsi il segno della croce appena l’autobus si mette in moto; le chiese quasi mai deserte, frequentate spesso da adulti, donne e uomini, che pregano, devotamente, in ginocchio, con la corona in mano, e non di rado, per penitenza, si trascinano ginocchioni dall’entrata all’altare maggiore; popolate la mattina per le sante messe, tutti i giorni; strabocchevoli la domenica, le feste comandate e i primi venerdì del mese, quando tutti quelli che lo possono vi si recano, e pregare, e cantare, ed insieme alzarsi in piedi al prefazio, inginocchiarsi all’elevazione... Frequenti e frequentati i catechismi, le prediche, le conferenze, i film religiosi; inimmaginabilmente spettacolari alcune celebrazioni annuali, specialmente quelle della settimana santa, in cui tutta la popolazione prende parte attiva ad un cerimoniale di culto, diciamo cosi, totale.

Appena terminate le funzioni liturgiche del giovedì santo tutta l’isola veste il lutto: le bandiere calano a mezz’asta, i portoni vengono chiusi per metà: gli uomini mettono la cravatta nera, non fumano, e il danaro risparmiato in sigarette va ai poveri. Le strade via via si popolano di singoli adulti, di file di bambini e di bambine, di gruppi familiari, di confraternite incolonnate dietro crocifissi o stendardi: tutti col rosario in mano, che pregano, la più parte ad alta voce, o cantano in sordina, recandosi da una chiesa all’altra a visitare i “sepolcri”. A sera tarda, strade e piazze sono un unico fiume compatto di uomini in preghiera. Chi non le ha viste, difficilmente riesce ad immaginare che cosa diventano in quell’occasione le chiese. Alle spalle dei “sepolcri” sorgono policrome scenografie, ricche di pilastri e di colonne, di balconi, di statue e di cornicioni; luci nascoste creano e rilevano fughe e giuochi prospettici: al loro centro il “sepolcro”, su colossali rutilanti piedistalli di ori e di argento: cumuli di rilievi, pannelli, filigrane, ceselli, gioielli, vasi e doppieri; e tutt’intorno un lussureggiante dispiegarsi di piante e di fiori, un palpitare di fiammelle, parte libere parte schermate, ed un delizioso diffondersi di essenze spruzzate sui fiori.

Nel pomeriggio del venerdì santo tutta la popolazione è di nuovo per le strade per prender parte – personaggi o spettatori – in devotissima contemplazione al dramma della Redenzione, che si svolge in più parti delle isole contemporaneamente per quattro ore continuate. Preceduti da uno stendardo con la scritta: Passio D.N.I.X., si snodano i “misteri” della passione: Gesù agonizzante nell’orto, il suo arresto, Gesù avanti ai tribunali, la flagellazione, la condanna a morte, l’imposizione della croce... Sono gruppi di tre, cinque e più statue lignee al naturale, piazzate su pedane ornate di luci e di fiori, che procedono lentamente, pesanti come sono, sulle spalle di volenterosi portatori, nascosti da lunghe gualdrappe agli occhi della folla. Dietro ad ogni “mistero”: gruppi di penitenti, parte incappucciati, che adempiono voti fatti per grazie ricevute durante l’anno, molti – per lo più signore, ragazze e uomini di alto censo – camminando a piedi nudi, per circa quattro ore, sul freddo o, se piovesse, sul bagnato del lastricato... Segue il labaro del governatore romano, con la scritta: S.P.Q.R., portato da valletti e scortato da trombettieri in costume; sette ragazzi recano funeree drappelle con le sette ultime parole di Gesù morente; le bande – bandiera abbrunata, ottoni e tamburi coperti di lutto – suonano marce funebri avanti al mistero della crocifissione; poi viene l’urna dorata del Cristo morto e il mistero dell’Addolorata: tra i due, il gruppo più impressionante dei penitenti, quasi tutti incappucciati, alcuni dei quali trascinano ginocchioni cinquanta, ottanta, cento e più chili di catene di ferro, legate alle caviglie... Il loro stridio, misto al tetro rimbombo dei crepitacoli che, nelle ultime luci del tramonto, dall’alto dei campanili scende sulla folla in preghiera, dà allo spettacolo un tono di agghiacciante solennità. Anche i turisti e i soldati della guarnigione, gli unici forse che vi assistono passivi, restano anch’essi in muta contemplazione avanti a tanta forza di schietta fede e pietà religiosa.

Un’altra manifestazione di pietà, niente affatto spettacolare, ma che desta la più commossa sorpresa, è la recita del rosario in comune praticata ancora in qualche via di paese e della periferia di qualche maggiore centro. Sull’imbrunire, un ragazzo ad alta voce, in mezzo alla strada, intona il rosario, avvertendo col suono di un campanello la fine di ogni posta: uomini e donne, dalle porte e dalle finestre aperte, continuando i loro lavori, rispondono in coro... Il forestiero sulle prime non sa donde vengano le voci; pensa ad un’eco di spiriti, come nelle leggende; poi si avvede che è la preghiera di un popolo, il quale, nello squallore del laicismo moderno, si sente ancora un’unica famiglia sotto il paterno sguardo di Dio...

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Si può facilmente intuire quale posto occupi la chiesa edificio tra fedeli cosi attaccati alla Chiesa istituzione; ma la realtà che se ne scorge supera qualunque aspettativa. Non c’è punto un po’ rilevato dell’isola da cui non se ne vedano una decina, e tutte fatte senza risparmio di dimensioni e di ornamenti. Esse appaiono più imponenti in quanto, fatta eccezione dei due o tre centri maggiori, quasi tutte sorgono in centri abitati piccoli o addirittura minimi, che contano edifici i quali non superano l’uno o due piani; alcune poi addirittura isolate nella campagna1.

A tutt’oggi il fervore costruttivo delle chiese dura attivissimo: basta vedere a Gozo il grandioso santuario mariano di Ta’ Pinu, e i piloni che forano la già discreta chiesa di Xewkija, destinata ad essere abbattuta quando la nuova imponente basilica l’avrà del tutto ricoperta. Qui il turista può vedere ripetersi quanto per tutta l’Europa cristiana avveniva nel medioevo: le bellissime cattedrali erigersi per opera del popolo: contadini, al termine del lavoro campestre, e pescatori reduci dalla pesca, non contenti di dare generosamente il loro danaro2, per due ore al giorno farsi volontari scalpellini, muratori e manovali, e consacrare gratuitamente tutta la domenica alla loro chiesa. Non è escluso che in tale fervore entri un po’ di sempliciano campanilismo: ma il movente più forte è certamente la funzione insopprimibile che la chiesa assolve nella vita e nella giornata dei fedeli maltesi3.

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Ma quale posto abbia oggi la religione nelle Isole Maltesi più che le colorite apparenze lo dice il freddo linguaggio delle cifre. Cominciamo appunto dal numero delle chiese: tra parrocchiali, quasi parrocchiali, pubbliche o semipubbliche, per le due diocesi di Malta e di Gozo esse assommano a più di quattrocento: una per ogni ottocento abitanti circa... I sacerdoti che le officiano, tra secolari e regolari, raggiungono quasi il migliaio, alla proporzione altissima di un sacerdote per ogni trecento fedeli. Inutile dire che avere un sacerdote in famiglia vi è un onore ambitissimo. I religiosi e le religiose sono quasi duemila, appartenenti a tredici tra ordini e congregazioni, che hanno a carico, tra l’altro, una sessantina di scuole, con circa ventimila alunni, e una ventina di istituti di carità con circa duemila assistiti. I quasi 330.000 abitanti4 sono, si può dire, tutti cattolici; la loro assistenza alla messa festiva, agli esercizi spirituali annuali e al precetto pasquale è totale, gli adulti che se ne astengono non arrivando al 0,4 per cento. Le comunioni annuali nelle due diocesi toccano i 10.623.000, vale a dire, che ognuno dei circa 220.000 comunicanti si comunica in media quarantanove volte l’anno! Le confessioni, come media sono settimanali, o al più quindicinali. Altissima è la moralità delle famiglie: l’età media degli sposi è di ventisette anni, delle spose venti; la natalità vi segna punte altissime, fino a toccare, nell’isola di Gozo, la media di sette figli per famiglia5!

Fondandosi su questi dati non c’è dubbio che, in una carta geografica ideale in cui le zone cattoliche venissero segnate con tonalità di colori proporzionate all’intensità della loro pratica religiosa, tra l’Irlanda, la Vandea, la Spagna, alcune “isole” della Germania cattolica e dell’Italia non comunista, Malta forse si distinguerebbe per una punta massima di colore, come privilegiato ed ancora quasi intatto feudo di Dio.

Ragioni e timori

Il viaggiatore che osserva tanto fenomeno, dopo un primo moto di gioiosa meraviglia è portato dalla sua stessa straordinarietà a ricercarne le cause; e non essendogli dato di speculare gli impervi segreti della grazia divina, pur ammettendone ampia ed evidentissima l’azione, ripiega sulle meno inaccessibili concause o circostanze umane. Tra queste gli sembra di dover numerare, prima e determinante, l’isolamento – ci si perdoni il bisticcio – delle isole Maltesi, dal resto del mondo, in una con la ristrettezza del loro territorio, la quale non pennette loro di attrezzarsi autonomamente su un alto livello di vita organizzata.

Infatti, le linee di navigazione e le numerose linee aeree che vi fanno scalo, più che apportare alla popolazione quanto le occorre agli essenziali bisogni della vita non fanno; i turisti vi sono rari, e per lo più vi risiedono solo per qualche ora; l’immigrazione non vi è possibile, bloccata, oltre che dal resto, dalla potenza occupante, la quale esige un forte pedaggio anche per brevissimi soggiorni di stranieri, i vicinissimi italiani compresi. Le stesse famiglie della guarnigione inglese, profondamente differenti dalla popolazione per indole, mentalità ed abitudini, con essa non passano oltre le relazioni di corretto vicinato. Stampa e cinema esteri, controllati per motivi morali e politici, e del resto naturalmente ostacolati dalla relativa impermeabilità linguistica della popolazione, per la quale l’italiano è un caro ricordo, l’inglese un lusso, il maltese locale è sufficiente per gli usi casalinghi, fino a qualche tempo fa vi hanno avuto un influsso minimo, e in larga parte nullo. D’altronde, scarsa, e quasi del tutto limitata alla zona della capitale, è l’organizzazione industriale, buona parte della popolazione vivendo della pesca e dell’agricoltura: non indigente, anzi piuttosto ben provvista del necessario, ma per bisogni, attrezzi, comodità e sollievi ridotta ad una per noi incredibile, sia pur felice, primitività di vita. Del resto, le scarsissime risorse idriche limitano fortemente l’uso dell’energia elettrica, scarsa nei maggiori centri e del tutto sconosciuta in molti paeselli e frazioni periferiche; dunque, in larghe zone di Gozo niente cinema e niente radio; alzata mattiniera al primo canto del gallo, e tutti al chiuso, come le galline, con l’estinguersi delle ultime luci del tramonto.

Quanto vi durerà questo stato di cose? E quanto della fiorentissima vita cattolica vi resisterà all’assalto, qualora avvenisse, del naturismo ateo in cui vive gran parte del mondo odierno? Queste domande sono tutt’altro che rettoriche, perché quel poco che in questi ultimi anni vi si è verificato dà da pensare.

* * *

Intanto l’isolamento, per forza di cose, diminuisce. I viaggi dei maltesi sul continente, oltre che dalle maggiori comodità dei mezzi di trasporto, sono facilitati dalle migliorate loro possibilità economiche; inoltre la pressione demografica, fortissima, spinge a migliaia i maltesi ad emigrare stabilmente6; col loro ritorno, definitivo o transitorio, in patria, c’è chi, ubriacato dalla licenza goduta altrove, commisera i suoi compatrioti quasi adolescenti non ancora emancipati, e li attacca direttamente, com’è successo, invitandoli a strapparsi le bende che li accecano... E fossero solo pochi esaltati ad esortarli per questa via! Altre voci, più insistenti e più efficaci, proprio perché meno avvertite e controllabili, tentano di sfaldarne il millenario sistema di vita religiosa e morale: la stampa libertina, che entra per la posta ed anche di straforo nelle borse dei viaggiatori e dei soldati della guarnigione, col suo carico di nudità, di scandali e di frivolezze; il cinema, che per quanto filtrato e controllato, risente sempre del mondo pagano e ateo che lo produce; la radio, che già dilaga, veicolando purtroppo gli stessi prodotti deteriori, in attesa del più e del peggio che farà la televisione, quando, non c’è da illudersi, di qui a qualche anno, superata ogni difesa naturale o civile, irromperà nell’intimo delle famiglie col suo carico più pericoloso.

Quel che allora potrebbe succedere si può arguire da quel poco (o molto?) di mutato in peggio, che già si osserva. Tra la falda veneziana, che molte donne di una certa età ancora vestono, solennemente, e i ridotti leggeri vestitini di molte bambine, e di molte non tanto bambine, corrono secoli di divario in fatto di delicatezza cristiana, oltre che di gusto. L’atteggiamento non controllato di qualche giovane coppia, e non solo in sentieri appartati, inaudito ed incredibile ancora dieci anni fa, dice che non invano s’è mostrato ai giovani tanto fatuo amoreggiare nei film, nei settimanali e nell’esempio concreto dei turisti. Nei più giovani, specialmente uomini, anche la vita di pietà segna inflessioni controllabili in cifre... Lo sport domenicale, diventato ormai una necessità, non solo ha, si può dire, estinto le già numerosissime e gloriose bande musicali, ma ha ridotto di moltissimo la frequenza dei fedeli al catechismo; l’industrializzazione, per quanto ridotta, ha immesso larghe aliquote di uomini in ritmi di lavoro, oltre che in abitudini ideologiche, spiccatamente centrifughe rispetto alla Chiesa; il migliorato standard di vita, che, aumentando i comodi, accresce le esigenze e diminuisce le difese fisiche, psicologiche e morali contro gli “scomodi” del dovere, specialmente nei grossi agglomerati cittadini, avvia la limitazione delle nascite, ponendo problemi morali e religiosi prima sconosciuti, mentre l’obbligato contatto con nuclei protestanti o religiosamente amorfi non avviene senza qualche infiltrazione d’indifferentismo religioso...

Come ovviare a tali inconvenienti? Nel medioevo, per difendersi dalle incursioni degli arabi, che periodicamente facevano scempio della vita e della virtù degli abitanti indifesi, nelle due isole era disposto che sul tramonto tutta la popolazione delle campagne si ritirasse nel Rabato, o fortezza, ed ivi trascorresse la notte: dovranno forse i fedeli di Malta adottare la stessa tattica contro i nemici, volontari od occasionali, del loro patrimonio religioso, trincerandosi a difesa contro tutti i pericolosi ritrovati della tecnica moderna, ed evitando ogni contatto col mondo che ne fa uso? Ma quand’anche ciò fosse possibile, sarebbe poi conveniente? Quale vantaggio avrebbe la religione cattolica facendola forzatamente coincidere con uno stato arretrato di civilizzazione tecnica? Trasferendo il caso particolare su un piano più generale di sociologia religiosa, si verrebbe, coi fatti, o a condannare erroneamente il progresso tecnico in quanto tale, o, peggio, ad avallare l’opinione non meno errata di molti “modernisti” che sostengono costituzionalmente incompossibile la vita religiosa col progresso scientifico e tecnico della famiglia umana: la teoria, insomma, della religione, buona per un’umanità primitiva, ma inutile e superata per un’umanità evoluta e cosciente.

Speranze

A questo punto gli interrogativi dell’ammirato e perplesso visitatore si aprono su radiose prospettive circa l’avvenire di questo fortunato feudo di Dio; e perché queste si attuino, egli si augura che la vitalità essenziale e perenne del cattolicismo trovi a Malta tempestivamente efficiente il concorso umano, che adegui i mezzi di apostolato alle mutate condizioni dei tempi. A Malta, come altrove, egli vede, per esempio, in una più aperta ed illuminata istruzione religiosa e morale la difesa dei valori supremi della fede e del costume. Una volta, nei paesi tradizionalmente cattolici, dell’istruzione religiosa si poteva in gran parte fare a meno, supplendovisi in gran parte con l’isolare le anime dei fedeli dalle suggestioni del dubbio, mantenendoli così con relativa facilità nel tranquillo possesso della fede e delle virtù non combattute. In quelle condizioni non si richiedeva forse virtù eroica per salvare l’essenziale, l’ambiente favorendo piuttosto che combattendo quanto la coscienza imponeva. Ma oggi gli assalti vengono da tutte le parti, subdoli o aperti; fede e virtù non si mantengono se non difese e conquistate. Al metodo di far chiudere gli occhi e far fuggire i fedeli avanti alle sollecitazioni del male, essendo ormai queste dappertutto presenti, è da preferirsi quello di rifornire di armi le anime e di addestrarle al loro uso perché i pericoli non siano loro fatali. Siamo, si può dire, in tempo di contagio, senza possibilità di rifugiarsi dove questo non manifesti la sua virulenza: la salvezza è nell’uso tempestivo degli antibiotici che rendano le anime contagio-resistenti. È stato osservato che l’italiano emigrato (ed esperienze recenti dimostrano valida l’osservazione anche per qualche nucleo di maltesi7), una volta sradicato dal proprio ambiente e messo a contatto con mentalità e condizioni religiosamente e moralmente diverse, spesso non resiste, e smette ogni pratica religiosa e morale8: quanta della loro religiosità in quei casi non si deve giudicare che passiva abitudine ambientale, priva di anticorpi, vale a dire di convinzioni coscienti e conquistate?

Quel che a ritmo sempre più accelerato è avvenuto e avviene altrove, dove i ritrovati del tecnicismo moderno, venendo a violento contatto con cicli di vita piuttosto primitivi, occasionano prima fratture e poi difettose saldature sociali morali, spesso drammatiche, per Malta, come per altre zone di condizioni affini, prospetta pure l’altra tattica di tempestiva prevenzione di bisogni e di adattamenti, a complemento di quella dell’istruzione9. Quanti guai, forse, nella cristianità non si sarebbero evitati se «quelli per bene» avessero previsto e preorganizzato sanamente quello che oggi si limitano a deplorare, ed invano a frenare e a sanare, edificato dall’iniziativa di altri uomini senza scrupoli! Avviene, in questi casi, quel che in tutto il mondo si è lamentato col cinema: nei decenni della sua nascita e del suo violento sviluppo «la gente per bene» se ne disinteressò come di cosa volgare o addirittura diabolica, ed oggi, tardivamente, lacrimiamo sugli effetti deleteri della più potente arma d’opinione pubblica. Non così reagì «la gente per bene» coi ritrovati che segnarono il passaggio dal medioevo al rinascimento, quando il suo tempestivo intervento fece delle arti plastiche e figurative, del teatro e della stampa, un mezzo di diffusione del pensiero e della morale cristiana.

Oggi, purtroppo, i nostri avversari, qua e là si avvantaggiano della lezione che noi abbiamo impartita loro: non c’è rivendicazione sociale o politica che non rivendichino come attuazione delle loro ideologie, in contrasto, e dunque superiori, a quelle dei cattolici e degli onesti, troppe volte assenti nei grandi problemi dell’ora. Siamo d’accordo; non è missione primaria della Chiesa il benessere di questo mondo né la tutela dei diritti che lo garantiscono! Ma quale prestigio, nel mondo prammatista odierno, non ridonderebbe sulla dottrina divina da essa predicata se i cattolici, attuando l’inesauribile carica di giustizia e di carità in essa contenuta, fossero sempre i primi a lanciare iniziative e a proseguire attuazioni per migliorare le condizioni di vita dei meno abbienti! Illuminare le strade e le intelligenze, dirizzare gli animi e i costumi, dare all’uomo la coscienza della propria dignità e difenderne i diritti che la tutelano, liberarlo quanto più è possibile dalle necessità materiali della vita ed addestrarlo alle gioie intellettuali e spirituali più consone alla sua dignità di figlio di Dio: non tendevano a questo le opere di misericordia corporale e spirituale da essa sempre predicate e praticate? Forse, se là dove resta qualche cosa da fare per il dirozzamento e l’elevazione sociale dei nostri fratelli, per l’abbellimento della loro dimora terrena, casa di civili e non rifugio di primitivi, i cattolici non si facessero antivenire dai prudentiores filii tenebrarum, il progresso tecnico e civile diverrebbe un alleato, o almeno un non avversario, dei supremi valori dell’uomo!

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Ma speranze anche più belle arridono al visitatore, ammirato dal rigoglio di vita cattolica trovato nelle religiosissime Isole Maltesi; ed è che queste isole benedette, lungi dall’esaurire la loro attività nella difesa dei loro valori religiosi, sprigionino, ché lo possono, la loro compressa energia a servizio di altri settori del mondo che ne abbisognano. Il pensiero corre appunto all’Australia, al Canadà, agli Stati Uniti, all’Inghilterra, dove s’indirizzano le sue forti correnti migratorie: quale servizio non renderebbero alla causa cattolica i maltesi se, resi consapevoli delle loro possibilità missionarie, una volta fuori della loro patria di origine si conservassero portatori di una salda fede e di una genuina vita cristiana; se in mezzo a popolazioni che Cristo non conoscono, o conoscono male, sorretti dall’opera assidua dei loro sacerdoti, stabilissero nuclei compatti d’irraggiamento cattolico. Rivedendo poi le cifre altissime segnate dal clero di Malta, il pensiero corre ad altre porzioni immense dello stesso gregge di Cristo sprovviste di pastori: parrocchie d’Italia, di venti, trenta e più mila anime con soli due o tre sacerdoti, centinaia di parrocchie in Italia e in Francia sprovviste anche di parroco, un sacerdote su settemila abitanti nel Brasile, uno su trentamila nel Guatemala, insidiatissimi dai comunisti, dai massoni e dai protestanti; uno su settantamila in alcuni paesi di missione, mentre nelle isole Maltesi un sacerdote su trecento abitanti, e i seminari rigurgitano... C’è da gioire per tanta effusione di grazia, ma stringe il cuore tanta concentrazione – non osiamo dire inutilizzazione – di fermento in un sol luogo, quando milioni di anime ne difettano nel resto del mondo a morte, tanto immagazzinamento di sale quando masse enormi di anime imputridiscono per mancanza di esso... Come non augurarsi una più oculata amministrazione umana della grazia di Dio?10. Come non desiderare che l’altissimo potenziale di forza santificante compresso a Malta deflagri: per il bene del mondo, oltre che per la maggiore santificazione degli eletti che a Malta ne sono i depositari?

Se un giorno quel che ci auguriamo avvenisse, Malta ritroverebbe, sublimata, la missione storica una volta affidatale dalla Provvidenza e dalla Chiesa: la difesa del nome cristiano, adempita per secoli dai cavalieri che la fecero gloriosa nel mondo, e la conquista della civiltà cristiana contro le forze del male; la visione cattolica che urgeva nel cuore di Paolo apostolo, quando, naufragato a Malta, le lasciò, come per ripagare l’umana accoglienza riservatagli dai suoi abitanti, vive e perenni la parola e la vita di Cristo.

1 Musta, un centro che al tempo della costruzione della chiesa contava sì e no tremila abitanti, ha una Rotonda che, per grandezza, è la terza del mondo, dopo quella di San Pietro e del Pantheon di Roma.

2 Recentemente una colletta tra i pescatori di un solo paese ha fruttato più di 1.500 sterline, pari a circa due milioni di lire!

3 Ci è stato riferito che un terreno fabbricabile, del resto ottimamente ubicato, presso La Sliema, restò per lungo tempo senza acquirenti perché vi mancava una chiesa, e che fu invece rapidamente venduto appena la chiesa vi fu costruita.

4 Esclusi i circa diecimila della guarnigione inglese.

5 Una curiosità: a Gozo c’è una prigione, ma è sempre chiusa per mancanza di inquilini...

6 Circa 50.000 in questi ultimi dieci anni si sono trasferiti in Australia, Canadà, Stati Uniti, Inghilterra.

7 Tanto se emigrati in paesi cattolici, ma poco praticanti, quanto se in paesi protestanti o pagani. Di qui alcune recenti esperienze che tendono alla costituzione di nuclei omogenei, con propria assistenza spirituale, meglio resistenti contro le suggestioni dell’ambiente e i suoi diminuiti comodi religiosi: andare in chiesa più volte al giorno può non costare a chi la chiesa è abituato ad averla a due passi da casa, ma quando fosse lontana qualche centinaio di metri o qualche chilometro?

8 Questo vale non solamente nella grande emigrazione esterna ma anche in quel processo di inurbamento che agglomera, specialmente nella periferia di Roma, impressionanti masse di dissestati. Eppure qualche volta si tratta di famiglie provenienti dalle più religiose regioni d’Italia.

9 Ci riferiamo non tanto alle violente trasformazioni causate dall’industrializzazione, per esempio, nel Congo, nella Rodesia, nell’India e in alcune repubbliche sudamericane, quanto a quelle sia pure più modeste verificatesi in casa nostra: paeselli della Sardegna, dell’Abruzzo e della Sicilia, che di punto in bianco vedono rivoluzionato il loro millenario ritmo di vita dal sorgere di un’industria, spiagge del napoletano e della Liguria, da ieri a oggi mutate da romantiche oasi di quiete in festivaleschi luoghi alla moda, pulite valli alpine subitamente attraversate da strade di grande comunicazione, frazioni moralmente terremotate dall’impianto di un albergo, di un’officina o, semplicemente, di un cinema...

10 Per la trattazione di questo problema, dr R. LOMBARDI S.I.: Per un mondo migliore, Roma 1954, pp. 225 ss., 272 ss. In particolare, per i danni gravissimi che la tragica scarsezza del clero causa nelle repubbliche dell’America latina, cfr Civ. Catt. 1955, III, 462 ss. Qualche cosa di bello dai maltesi in questo senso già si fa: una diocesi in India è affidata ai cappuccini maltesi, una missione nel Santal ai gesuiti; maltesi carmelitani lavorano in una diocesi del Perù; numerose suore maltesi si trovano disseminate un po’ dappertutto nel mondo: Brasile, Abissinia, Giappone, Australia, Lussemburgo, Italia, Pakistan, Birmania, Palestina, Algeria, Tunisia, Francia...

In argomento

Cronaca

n. 2547, vol. III (1956), pp. 279-288
n. 2517, vol. II (1955), pp. 284-298
n. 2498, vol. III (1954), pp. 135-150
n. 2500, vol. III (1954), pp. 359-369
n. 2456, vol. IV (1952), pp. 171-182
n. 2399, vol. II (1950), pp. 548-559